La bufera per gli istituti non è ancora finita: "pecora nera" in zona Ue

La Bce segnala: grande banca sotto i requisiti. Non è nostra. Ma le italiane non sono guarite

La bufera per gli istituti non è ancora finita: "pecora nera" in zona Ue

«Una banca della zona euro di grandi dimensioni ha requisiti patrimoniali al di sotto di quelli richiesti dalla Bce e quindi dovrà limitare bonus, dividendi e cedole, mentre un'altra è appena sopra», ha scritto ieri la Banca Centrale Europea, senza fare il nome della banca, al termine dell'esame annuale sui 119 istituti che ricadono sotto la sua supervisione. Nelle sale operative, da Milano a Londra passando per Francoforte, è subito partita la caccia alla «pecora nera» del gruppo. Gli analisti consultati dal Giornale escludono che si tratti di una italiana, visto che si parla di istituto di grandi dimensioni, e anzi puntano il dito su una tedesca o una slovena. Anche perché per la Popolare Vicenza e Veneto Banca è stata attivata la liquidazione ordinata con la vendita a Ubi. Non solo. L'esame si basa sui risultati delle banche a fine giugno, quindi gli istituti potrebbero già aver posto rimedio nei mesi successivi, come ha fatto Carige che sta completando un aumento di capitale da 500 milioni proprio per venire incontro alle istanze della Bce. Quanto alla «cenerentola» Mps, ha appena intrapreso un piano di ristrutturazione concordato con la Commissione Ue e con la stessa Bce dopo il salvataggio statale.

Tutto a posto, dunque, per le banche italiane? Non proprio. Carige ieri ha chiuso in anticipo l'asta per la vendita di tutti i diritti dell'aumento di capitale rimasti inoptati. Ma nel prospetto informativo dell'aumento il gruppo guidato da Paolo Fiorentino avverte però che le nuove regole europee Srep - sui requisiti minimi che le banche devono avere - espongono l'istituto al rischio di «ulteriori iniziative di rafforzamento patrimoniale» del gruppo che resta sotto esame della Bce con tre ispezioni ancora in corso della Vigilanza Ue. Poi c'è il Credito Valtellinese che oggi riunirà i soci in assemblea a Morbegno, in provincia di Sondrio, per dare il via libera all'aumento di capitale da 700 milioni da concludere entro marzo. Affinché la manovra passi serve la presenza del 20% del capitale e il favore di due terzi dei votanti. Non proprio una passeggiata, anche se il primo azionista del Creval, l'imprenditore francese Denis Dumont ha ufficializzato l'intenzione di sottoscrivere la ricapitalizzazione «quantomeno» per la sua quota (il 5,1%). Quanto alle banche sane come la big Intesa Sanpaolo, va digerito il salvataggio di Pop Vicenza e Veneto Banca, «che hanno ancora una «struttura del conto economico che presenta forti squilibri», ha detto a novembre l'ad, Carlo Messina, che per assorbire le due ex popolari venete ha ricevuto un contributo statale di 3,5 miliardi.

Sulla testa delle banche pende, infine, la spada di Damocle del cosiddetto «addendum» annunciato dalla Bce sulla gestione dei crediti deteriorati. Dopo il pressing dell'Italia e il parere negativo dei servizi legali del Consiglio seguito a quello dell'Europarlamento, Francoforte ha rinviato la stretta di alcuni mesi ma ogni volta che il capo della Vigilanza Daniele Nouy, tornerà fare la voce grossa, i titoli bancari accuseranno il colpo in Borsa. Nel corso del 2018 verranno, inoltre, condotti nuovi «stress test» di vigilanza.

Nello specifico «un campione di istituti significativi di grandi dimensioni parteciperà a una prova di stress a livello di Ue coordinata dall'autorità bancaria europea», spiega l'Eurotower in una nota, mentre «la Bce condurrà una prova di stress ulteriore per i restanti istituti significativi non coinvolti nella prova di stress a livello di Ue». Le banche italiane coinvolte negli stress test 2018 sono Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm e Ubi.

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