Volendo vedere solo il pelo nell'uovo, alla fine la situazione di Luigi Marroni, ad di Consip, potrebbe essere sintetizzata così come lui l'ha detta agli amici: «Sono l'unico non indagato, il solo che perde il posto». Poltrona da circa 200mila euro l'anno, per il pensionato che sta facendo tremare il Cerchio magico del Pd. Rientreranno invece alla «base», cioè al Tesoro, i due funzionari «in prestito» nel Cda che Padoan controlla al cento per cento: Marialaura Ferrigno e il presidente Luigi Ferrara. Costretti a dimettersi precipitosamente sabato per far decadere l'ad senza far pensare a una vendetta renziana. Ma anche perché il giorno prima, dopo un interrogatorio come «persona informata dei fatti», Ferrara è stato indagato dalla Procura per aver ritrattato parte della testimonianza resa in precedenza. A «inguaiarlo» dovrebbe essere stato lo stesso superteste Marroni, che l'8 giugno scorso ha passato ben sette ore e mezzo con il procuratore Pignatone e il pm Palazzi, cui ha ribadito la testimonianza fornita a dicembre scorso ai carabinieri del Noe e ai pm napoletani Carrano e Woodcock. Ma arricchendola di ulteriori (forse ancor più decisivi) dettagli. Come, pare, di aver appreso proprio dal presidente Ferrara della «soffiata» che sarebbe arrivata dal generale Del Sette sulle indagini che investivano, tra gli altri, il papà dell'ex premier Renzi.
Perciò non si può dire che sia per mantenere la poltrona che Marroni, il grande accusatore del Cerchio magico, è ancora decisissimo a non mollare. I messaggi lanciati al governo che «mi sta accerchiando» e al Pd che, se potesse, lo «svaporizzerebbe», sono chiari. «Sono stato sempre corretto: se vogliono cacciarmi, lo devono fare loro. Avrò molte cose da dire, vorrà dire che potrò togliermi ancora qualche sassolino...». Stamane, se non interverranno ulteriori colpi di scena, Marroni dovrebbe sedere al proprio posto in ufficio, mandando all'aria la disperata manovra ordita dal governo per far decadere i vertici senza, tra l'altro, dover subire uno smacco in Senato. Domani, infatti, è in calendario il voto su due mozioni: la prima, presentata da Idea di Quagliariello e Augello, chiede da marzo l'allontanamento dei vertici per poter fare chiarezza totale sull'affaire. Augello ieri argomentava che «le dimissioni dei due membri del Cda non fanno cadere la nostra mozione perché Marroni resta in carica fino alla convocazione dell'assemblea degli azionisti (ha otto giorni di tempo per convocarla lui stesso a norma di statuto Consip, ndr)». Il Tesoro vorrebbe invece far precipitare la situazione, nonostante solo tre mesi fa il ministro Padoan avesse dichiarato in aula che «non ci sono gli estremi per la decadenza dei vertici». Così il Pd vorrebbe chiudere la vicenda senza voto parlamentare: deciderà una capigruppo. Intanto Marroni ha già chiesto un nuovo incontro a Raffaele Cantone, capo dell'Anticorruzione. Il ministro Padoan, in grande imbarazzo, ieri ha spiegato che i due funzionari «si sono dimessi per evitare che fatti esogeni alla vicenda potessero indebolire quel grande lavoro fatto in questi anni...».
Peccato che un dossier di 600 pagine della Corte dei conti testimoni, prim'ancora dell'inchiesta, una gestione assai poco efficiente e trasparente. «Un incredibile disastro imputabile a Renzi figlio e a padre», secondo i grillini. Anche Salvini difende Marroni: deve stare al suo posto e deve poter parlare». Un ultimo sassolino e poi scende la valanga.
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