Canada, i girasoli devastati in cerca del selfie perfetto

Le foto scattate nella tenuta diventano virali e in migliaia accorrono. Attirati dal richiamo del like

Canada, i girasoli devastati in cerca del selfie perfetto

L'idea era di aprire al pubblico per un paio di settimane, all'apice della fioritura dei girasoli, per guadagnarci qualche soldo. Anche l'anno scorso l'avevano fatto, ed era andato tutto bene. Agricoltori da sei generazioni, pensavano di averne già viste di ogni. E invece non avevano calcolato la potenza dei social network, dove l'immagine - condivisa - è tutto. E c'è chi farebbe qualunque cosa per qualche «mi piace» in più. Prima che potessero rendersene conto, la tenuta - 1,5 km di estensione, la coltivazione di girasoli più grande dell'Ontario - era stata invasa e devastata da migliaia di persone in cerca del selfie perfetto.

La famiglia Bogle coltiva e vende girasoli, cereali e becchime nella provincia canadese dalla metà dell'Ottocento. Il 20 luglio mamma, papà e figlio hanno deciso di aprire i campi al pubblico: hanno stabilito un biglietto da 7,50 dollari per l'ingresso, hanno assunto staff extra per dare una mano con i visitatori e si sono attrezzati con toilette portatili. Si aspettavano qualche centinaia di curiosi, come l'estate scorsa. Ma le foto scattate tra i fiori del sole, nel culmine della loro bellezza, hanno fatto il giro delle piattaforme social, soprattutto di Instagram, provocando un effetto valanga: nel giro di una settimana, la frittata era fatta.

«Posso descriverlo solo come un'Apocalisse zombie», ha detto al Globe and Mail Brad Bogle, figlio dei titolari. Il picco, sabato 28 luglio. Le macchine hanno iniziato a mettersi in coda sul vialetto d'ingresso della tenuta alle 5.45 del mattino. A mezzogiorno la situazione era già fuori controllo. Il parcheggio da 300 posti messo a disposizione, ovviamente, non bastava più: la gente ha iniziato a parcheggiare anche a un chilometro di distanza. I visitatori non entravano neanche più dall'ingresso, ma marciavano direttamente nei campi senza pagare il biglietto, perdipiù abbandonando rifiuti tra i fiori e espletando i propri bisogni dove capitava. Quel giorno, 7mila auto hanno raggiunto la proprietà dei Bogle. Finché non è arrivata la polizia, che ha avvisato la famiglia del caos che si stava creando non solo sui campi ma anche fuori: la vicina autostrada completamente intasata, genitori che attraversavano quattro file di auto in coda con i passeggini per affrettarsi verso la meta, tamponamenti e piccoli incidenti (una famiglia si è vista portare via la portiera da un'altra vettura). Un agente ha avvisato i titolari che sarebbero stati multati per tutti i disagi causati. Alle 14, l'ordine definitivo di chiudere tutto. I danni ai girasoli saranno valutabili solo tra settembre e ottobre, il periodo del raccolto.

Ora, all'ingresso della tenuta, campeggia un cartello che recita: «I campi sono chiusi ai visitatori e alle foto». E la segreteria telefonica precisa: «Siamo chiusi e non riapriremo mai più per le fotografie dei girasoli». Per sicurezza, e per gli effetti del trauma post bloody Saturday, nei giorni scorsi i Bogle sono rimasti a presidiare la strada come sentinelle, per indirizzare altrove i «selfisti» scatenati. Qualcuno, però, non l'ha presa bene: «Mi fanno spesso il dito medio - racconta ancora Brad Bogle -. La gente mi insulta, mi dicono: Ho guidato due, tre ore per arrivare fin qui, mi merito le mie foto». E chi non si arrabbia, non si fa problemi a farsi strada da solo tra gli steli alti dei fiori.

Girato l'angolo, armati di selfie stick, sgattaiolano dietro il divieto di ingresso e si infilano nella tenuta. Altro che naura: il richiamo dei like vince su tutto. «È Instagram che mi ha portato qui - dice candidamente Chelsea Caruso mentre emerge dal verde -. Era uno dei post con più reazioni. C'è una così bella atmosfera!».

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