Il capo dello Stato rischia un faccia a faccia coi boss

RomaIl 28 ottobre, ore dieci, porte aperte al Quirinale. Per una mattina l'antico palazzo dei papi si trasformerà in un'aula di tribunale: Giorgio Napolitano infatti ha scritto al presidente della corte d'assise di Palermo Alfredo Montalto e si è dichiarato «disponibile» a testimoniare nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Lui dice di non saperne nulla, ma avvocati, giudici, pm vogliono sentirlo comunque. Gli chiederanno se per caso, magari, ricorda qualcosa in più dei tormenti del suo ex consigliere giuridico Loris D'Ambrosio. Il problema è che anche i boss Totò Riina e Leoluca Bagarella vogliono sentirlo.

Non bastava un capo dello Stato chiamato alla sbarra, adesso c'è pure il rischio che i capi della mafia possano interloquire nel corso del dibattimento. L'udienza sarà a porte chiuse. Non per un capriccio di Napolitano, fanno sapere dal Colle, ma perché così prevede il codice. «Quando il presidente della Repubblica deporrà - si legge nell'ordinanza della corte - ci sarà la conseguente esclusione della presenza oltre che del pubblico anche degli imputati e delle altre parti, che saranno rappresentate dai rispettivi difensori».

I boss però insistono e, tramite i loro avvocati, hanno chiesto «di poter assistere all'udienza» attraverso la videoconferenza, «secondo la Corte europea per i diritti dell'uomo - sostiene il legale di Riina, Luca Cianferoni - l'imputato ha sempre diritto a partecipare alle sue udienze», Si oppone invece l'avvocatura dello Stato. Giovedì prossimo la corte scioglierà la riserva.

Resto lo sfregio di una testimonianza ottenuta quasi con forza. L'udienza sarà chiusa al pubblico ma non segreta, i verbali saranno accessibili a tutti. Il presidente dovrà rispondere in particolare sulla paura di D'Ambrosio, «di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993». D'Ambrosio mise per iscritto questi timori in una lettera del 18 giugno 2012 che il capo dello Stato ha reso nota dopo la morte del consigliere giuridico.

Napolitano non sa «nulla di più», però le parti vogliono sentirlo dalla sua voce. La testimonianza di Re Giorgio sarà quindi una pagina marginale nell'economia del processo. In quella del braccio di ferro tra magistratura e politica, invece, peserà parecchio.

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