
Il Made in Italy, soprattutto nell'ambito della moda, è sinonimo di eleganza. Ma a volte è partito dal basso, da dove non ci si aspetterebbe. Dall'aver trasformato l'umile nel lussuoso, dall'aver sviluppato pezzi di cultura popolare per trasformarli in must dell'abbigliamento, e perché no anche del vivere.
Un esempio? Il Jeans e il cappello di paglia. Sul primo indumento in fondo non c'è molto da aggiungere sul percorso che lo ha portato da Genova al mondo. Del secondo si è parlato meno ma giusto per capirci il cappello di paglia negli Stati Uniti, e più in generale nel mondo anglosassone, è chiamato Leghorn. Il nome inglese di Livorno da dove a partire dall'Ottocento iniziò ad essere imbarcato in quantitativi sempre più massicci verso i porti inglesi e americani. Ma perché far venire un cappello di paglia italiana, o meglio di paglia toscana, attraverso gli oceani? I fabbricanti di cappelli di paglia fiorentini erano già diventati una corporazione nel XVI secolo ma il salto avviene all'inizio del Settecento. Nel 1718, nelle terre fra Signa e Lastra a Signa, Domenico Michelacci riuscì a selezionare e poi a diffondere un tipo di grano detto marzuolo, destinato unicamente all'intreccio e non al consumo alimentare. Consentiva la creazione di un filo di paglia più sottile con intreccio migliore e migliore resistenza. Nasce un cappello caratterizzato da 40 giri di trecce cucite, ciascuna composta di 13 fili. Nascono manifatture dove spesso sono le donne a rivestire il ruolo principale. E nasce anche un prodotto che in molti cercarono di imitare a volte venendo proprio a sottrarre la manodopera più qualificata in toscana. Ma la Toscana, anche grazie ad istituzioni colte come l'Accademia dei Georgofili si batte per mantenere il primato e ci riesce. È solo un esempio: all'Esposizione universale di Parigi, del 1855, nella categoria Fabbricazione degli oggetti di moda e fantasia, gli operai e le operaie produttori di trecce per cappelli furono premiati con una medaglia d'onore consegnata dall'imperatore Napoleone III.
Per dare l'idea dei volumi: da Livorno nel 1870 verso l'America partirono 8 milioni di Leghorn. Non tutte rose e fiori a cingere il copricapo di paglia italiana e... sul finire dell'Ottocento la concorrenza della paglia cinese iniziò a farsi sentire la globalizzazione non è iniziata oggi - e a pagarne il prezzo fu soprattutto la produzione media. Anche in questo contesto si registrò il primo sciopero di femminile d'Italia con le trecciaiole guidate da Barsene Conti che misero in scena una protesta rimasta nella storia. Tra crisi e lisi comunque il cappello di paglia di Firenze, anche se con una produzione meno di massa è ancora lì come oggetto di eleganza, tanto da finire sulla testa delle dive e in molte pellicole. Una per tutte la Julia Roberts di Pretty Woman, dove diventa proprio uno degli oggetti feticcio che servono per passare dalla strada al mondo dei Vip. Una storia incredibile che è stata da poco raccontata in "Tessere Storie: Dal Leghorn al Jeans Un Viaggio nell'Artigianato Femminile" presentata all'Istituto italiano di cultura di New York, evento che si svolgerà di nuovo il 6 luglio (11.30 12.30) alla Mole Vanvitelliana di Ancona all'interno dell'Ulisse Fest e che poi verrà riproposto in svariate città italiane ed europee, come ci spiega Clara Svanera (giornalista che è una delle voci di questa narrazione itinerante).
Per chi volesse poi a Signa c'è sempre il museo civico della Paglia che è il custode permanente di questa vicenda.Perché si può indossare un accessorio. Oppure si può indossare un pezzo di storia e di cultura italiana. E non è lo stesso.