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Carceri, le culle dell'odio Da noi 354 «radicalizzati»

Come in Belgio e in Francia, l'integralismo si diffonde in galera I dubbi sull'Ucoii, che gestisce diverse sale di preghiera in prigione

Gian Micalessin

Prigione uguale radicalizzazione. La storia lo insegna. È successo in Belgio con i risultati visti a Bruxelles. Ed è successo in Francia dove le galere aperte alla predicazione fondamentalista sono diventate la vera filiera del terrore radicale. In Italia, dove quattro detenuti di Rossano Calabro hanno inneggiato - dopo gli attentati di Parigi - alla «Francia libera dagli infedeli» sta succedendo, più o meno, lo stesso. Soltanto ieri il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Santi Consolo, ha comunicato al «Comitato per la Sicurezza della Repubblica» che sono ben 354 i reclusi coinvolti in un «percorso di radicalizzazione islamica all'interno delle carceri». Un percorso di radicalizzazione che punta a conquistare i circa settemila praticanti islamici detenuti in Italia.

Le contromisure adottate per contrastare una tendenza a dir poco inquietante non appaiono però rassicuranti. Lo scorso novembre, proprio in concomitanza con le stragi di Parigi, lo stesso Santi Consolo ha firmato un protocollo d'intesa con l'Ucoii, ovvero con quell' «Unione delle Comunità Islamiche Italiane» considerata da molti esperti intimamente legata alla Fratellanza Musulmana. Grazie a quel protocollo d'intesa, gli imam scelti da un'associazione connessa ad un'organizzazione «madre» dell'attuale fondamentalismo islamista hanno oggi libero accesso a otto carceri. A Torino, Milano, Brescia, Verona, Modena, Cremona e Firenze i predicatori scelti dall'Ucoii sono i «gestori» della sala utilizzata come luogo di culto dai detenuti musulmani e i responsabili di quelli che il protocollo definisce «momenti collettivi di preghiera». Ma non solo. Stando allo stesso Ucoii, l'intesa punta a «promuovere azioni mirate all'integrazione culturale avvalendosi dei mediatori indicati dall'Ucoii anche attraverso la stipula di convenzioni con Università ed Enti che cureranno la formazione dei volontari cui è data la possibilità di accedere con continuità negli istituti penitenziari». L'Ucoii, grazie a quell'accordo, monopolizza insomma la gestione dei detenuti di fede islamica e si ritrova nella condizione di plasmarli e indirizzarli. Ora per capire quali rischi questo comporti bisogna ricordare che l'ideologia dei Fratelli Musulmani, a cui aderiscono la maggioranza dei dirigenti e militanti dell'Ucoii, si basa su una stretta adesione alla sharia, la legge islamica in tutti i campi dell'attività umana dalla gestione dello stato e della cosa pubblica a quella della famiglia e dei rapporti sociali. La stessa ideologia insomma a cui si rifanno i palestinesi di Hamas e i movimenti jihadisti responsabili dell'involuzione islamista delle Primavere Arabe e degli orrori siriani. Un'ideologia sintetizzata in Ma'alim fi al-Tariq (Pietre Miliari) il testo di Sayyd Qutb - l'ideologo della Fratellanza Musulmana impiccato in Egitto nel 1966 - su cui si sono formati Osama Bin Laden e l'attuale capo di Al Qaida Ayyman Al Zawahiri. Un testo a cui fanno riferimento i sermoni di Yusuf Qaradawi, leader spirituale della Fratellanza che dagli schermi di Al Jazeera inneggiava agli attentati suicidi di Hamas.

Ma questi dati di fatto non sembrano impensierire i responsabili di un'amministrazione carceraria italiana che ha delegato agli «esperti» dell'Ucoii anche la scelta dei «detenuti in grado di ricoprire il ruolo di docenti per i compagni di detenzione» indirizzandoli all'uso dei personal computer per lo studio delle lingue. L'affidamento dei detenuti di fede islamica ai predicatori all'Ucoii appare ancor più controverso dopo la relazione resa ieri dallo stesso Santi Consolo al Comitato per la sicurezza della Repubblica.

Una relazione in cui il firmatario dell'intesa con l'Ucoii sottolinea come il rischio radicalizzazione continua a destare preoccupazione e a venir «valutato con grande attenzione» senza sottovalutare alcun segnale di rischio.

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