"Caro Manuel, capisco perché volevi ammazzare tuo padre"

La previsione: "Avrai psichiatri che squarteranno la tua mente..."

Pietro Maso in una foto per una recente intervista a Chi
Pietro Maso in una foto per una recente intervista a Chi

Caro Manuel, se me lo permetti mi rivolto a te con un confidenziale «tu» ma è solo perché credo di essere tra i pochi a comprendere i terribili momenti che stai vivendo.

Sono Pietro Maso, il mostro, colui che molti anni fa uccise i genitori senza alcun tentennamento (...). Nel 1991 ero da poco maggiorenne, sono l'ultimo figlio nato dopo due femmine. Questo mi poneva nell'insopportabile condizione di essere reputato il piccolo di casa da coccolare mentre reclamavo il ruolo di capobranco cui spettava il compito di proteggere le sorelle, benché più grandi di qualche anno. Amavo mio padre e mia madre ma non me ne accorgevo. Una famiglia all'apparenza felice senza quelle difficoltà economiche che in Italia sarebbero sorte solo anni dopo. Oggi come allora le icone erano di cartapesta. Mi sembrava giusto desiderare le belle ragazze, le auto di lusso e la vita incosciente, con la sconsiderata temerarietà che sa di eroico. Con i miei amici decidemmo di uccidere i miei genitori. La realtà è che sfruttai l'ascendente che avevo su di loro solo per regolare le mie psicosi e sconfiggere i miei incubi. Da quell'abominevole attimo, la vita mi è sfuggita dalle mani per sempre.

Perché ho pensato di scriverti? Per egoismo. Aiutarti mi fa sentire finalmente migliore e mi aiuta a sconfiggere i fantasmi che alimentano i miei sensi di colpa. Non posso biasimarti per quello che hai fatto. Io sono stato peggiore di te, ma posso capire perché volevi ammazzare tuo padre. Un cupo e rarefatto istinto di rivalità per catturare tutto l'affetto delle donne di casa e dimostrare di non essere solo il cucciolo fragile e indifeso.

Conosco bene la tua transizione e ciò che ti aspetta per molti anni ancora. L'isolamento, la disperazione, gli sputi in faccia degli altri detenuti e la durezza delle guardie. La voglia di suicidarti e l'illusione di svegliarti da un brutto sogno e tornare alla vita di sempre. Quale vita, poi, quella dedicata alla cocaina e ai festini promiscui?

Avrai molti psichiatri che ti squarteranno la mente e l'anima, alcuni in buona fede per capire, altri solo per regalarti una normalità fittizia. Sarai l'obbrobrio da esibire come bersaglio per ogni riprovazione e il riferimento comune che mette tutti d'accordo nel disprezzo. Quanti giorni, mesi, anni trascorrerai in una cella, inseguendo le attese, l'indulgenza, una soluzione. Ci sarà il processo, la stampa, i lampi dei fotografi. I giudici, gli assistenti sociali, gli intellettuali d'ordinanza ad intricarsi di te, delle tue emozioni più intime. Gli psicologi da dibattito televisivo a contendersi i tuoi respiri per sbranarli, senza mai chiedere il permesso di bussare alla tua coscienza.

Non avrai più intimità se non fra le mura della tua cella che diventerà tutto il tuo mondo, quello sempre connotato dalle urla del carcere. Con chi la condividerai negli anni? Un altro come te cui affidare le tue angosce e consegnare le tue ansie attraverso tempi interminabili. Il peggio è che pure a fine corsa rimarrai la bestia feroce da escludere. Non ti illudere che sarai accettato o accolto. Fra un quarto di secolo troverai qualcuno che ti riconoscerà per scacciarti e trattarti da feticcio per esorcizzare le sue nevrosi.

Succede anche a me.

Avrai bisogno di tanti libri. Te ne regalo uno, quello che ho scritto quando sono tornato libero. Se può aiutarti, scrivimi e ti risponderò. Se non altro potrò darti qualche consiglio di vita vissuta.

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