Tempi duri si annunciano per i pensionati italiani. L'intenzione dell'esecutivo, infatti, è quella di penalizzare i percettori di un assegno previdenziale per finanziare le misure previste dal contratto di governo come il superamento della riforma Fornero con l'introduzione di «quota 100» e l'innalzamento delle pensioni minime. L'ultima novità è una tassa dello 0,35% su tutte le pensioni. È stata proposta dal presidente del Centro studi Itinerari previdenziali ed estensore del programma pensionistici leghisti, Alberto Brambilla (candidato in pectore alla presidenza Inps). Come ha spiegato in un'intervista a Repubblica, l'idea dl ministro Di Maio di tagliare le pensioni sopra i 4mila euro netti mensili «potrebbe rivelarsi illegittimo» perché toccherebbe i diritti acquisiti tutelati in più occasioni da sentenze della Corte Costituzionale. La Consulta, invece, proprio due anni fa si è espressa favorevolmente ai contributi di solidarietà sugli assegni più elevati varati dal governo Berlusconi e confermati dal successore Monti fino alla fine del 2016.
Il taglio delle pensioni d'oro nella versione ipotizzata da Di Maio può fruttare al massimo 180 milioni di euro (gli assegni sopra i 7mila euro lordi mensili equivalenti a circa 4mila netti sono solo 37mila) e, come detto, incorrerebbe quasi certamente nella scure degli ermellini. Secondo Brambilla, invece, si potrebbe seguire il programma elettorale della Lega: un contributo temporaneo di solidarietà per una vasta platea di pensionati. La proposta, consentirebbe di reperire per i prossimi quattro-cinque anni le risorse necessarie ad affrontare i dossier principali del welfare: la non autosufficienza e la disoccupazione di under 30 e over 55. Il contributo di solidarietà vale un miliardo, «nella migliore delle ipotesi si potrebbero anche superare i due miliardi», ha sottolineato Brambilla.
Ma come funzionerebbe questa tassa? L'esperto ipotizza un'aliquota dello 0,35% di partenza sulle pensioni più basse che aumenterebbe per i redditi più elevati e che verrebbe applicata su tutti gli assegni «escluse naturalmente le pensioni sociali, quelle di invalidità e quelle eccessivamente basse». Le cifre sono realistiche: se si applicasse l'aliquota dello 0,35% al totale delle pensioni di vecchiaia e di reversibilità pagate dall'Inps (171 miliardi) si otterrebbero 600 milioni circa. Una modulazione a scaglioni potrebbe determinare un gettito superiore.
Ovviamente una tale iniziativa, ha concluso, andrebbe negoziata con i sindacati in quanto «permetterebbe anche di superare l'Ape social perché i più deboli verrebbero tutelati quasi caso per caso». La risposta non si è fatta attendere. Cgil, Cisl e Uil hanno replicato di essere «pronti a confrontarsi con il governo, ma assolutamente indisponibili a ragionare su interventi che avrebbero come unico fine quello di fare cassa con le pensioni». Gelide le risposte del Pd incluso l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, che ribadisce il proprio no al ricalcolo su base contributiva e il sì al contributo di solidarietà purché limitato agli assegni sopra i 5mila euro netti mensili.
La disputa fa emergere quanto sia complicato comporre il puzzle previdenza tenendo fede alle promesse elettorali.
L'eliminazione dell'Ape social e il ricalcolo interamente contributivo delle pensioni con l'adozione di «quota 100» determinerebbero l'erogazione di trattamenti meno generosi rispetto agli attuali. La tassa sotto forma di contributo di solidarietà rappresenterebbe un tampone a esigenze che Lega e M5S non sono attualmente in grado di soddisfare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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