Il telefono di Ugo Zampetti, segretario generale del Quirinale, suona due volte a metà mattina. Il primo a chiamare è Matteo Salvini, Gigi Di Maio lo segue a ruota. «C'è un confronto in corso - spiegano eccitati, un po' affannati, più o meno con le stesse parole - e adesso è possibile arrivare a un accordo di governo. Però per stringere ci servono altre 24 ore». Di ore ne avranno oltre 48. Oggi infatti Sergio Mattarella non c'è: deve andare a Firenze per aprire la conferenza The state of the Union e pranzare a Badia Fiesolana con Draghi, Junker, Tajani e diversi altri leader europei, un impegno che certo non si può saltare. Domani mattina dovrebbe volare a Palermo per un convegno a Palermo sui 70 anni della Corte dei conti siciliana: ma forse questo appuntamento si può cancellare. Se infatti ci saranno «novità significative, se stavolta l'intesa maturerà «davvero», venerdì il capo dello Stato riceverà Salvini e Di Maio, ascolterà i termini del patto e il nome che gli indicheranno, poi, a stretto giro, convocherà il prescelto e gli darà l'incarico per un governo politico Lega-M5s.
Il dream team del presidente rimane quindi nel cassetto. Se ci resterà solo un giorno o due, o ammuffirà per sempre, si vedrà dai prossimi sviluppi. Sul Palazzo dei Papi tutto era già pronto per varare il gabinetto «neutrale»: premier, squadra, scadenze, protocolli, saloni. Ma ora non sarà difficile riconvertirsi e mettere in moto le procedure per accompagnare la nascita di esecutivo giallo-verde. La svolta non era considerata probabile e tutt'ora il Quirinale, prima di sbilanciarsi, vuole «vedere le carte». Però era una possibilità messa in conto. Infatti l'arbitro Mattarella non aveva chiuso la partita, anzi aveva allungato i tempi supplementari e spostato il fischio finale un paio di volte.
C'è anche la sensazione che sia stato proprio il discorso presidenziale di lunedì, al termine del terzo inutile giro di consultazioni, con la proposta di un governo di traghettamento, accompagnata all'ipotesi alternativa di votare a luglio o a ottobre, a smuovere le acque e, indirettamente, a far ripartire la trattativa. «Ci sono dei momenti - dice il capo dello Stato in mattinata commemorando Aldo Moro - in cui l'unità nazionale deve prevalere sulle legittime differenze. E ce ne sono degli altri che richiamano a valori costituzionali, a impegni comuni, perché non divisivi delle posizioni politiche ma riferiti a interessi fondamentali del Paese, in questo senso neutrali».
Ma la domanda è: alla fine chi andrà a Palazzo Chigi? Dal Colle sostengono che «nemmeno il presidente del Consiglio in pectore per un governo di garanzia è stato avvisato del possibile incarico». La cosa singolare è che, nei due toto-nomi, c'è lo stesso personaggio che conduce la corsa sia per l'esecutivo neutrale che per quello politico Lega-Cinque stelle. Si tratta di Enrico Giovannini, docente a Tor Vergata, ex direttore dell'Istat, ex ministro del Lavoro nel 2013 nel governo guidato da Enrico Letta, in buoni rapporti con M5s. Giovannini evidentemente va bene per entrambi gli schemi.
In preallarme restano intanto le candidate rosa.
In prima fila la diplomatica Elisabetta Belloni, segretario generale della Farnesina, seguita dall'economista Lucrezia Reichlin, docente alla London Business School ed ex direttore generale della Bce. E da Anna Maria Tarantola, ex presidente della Rai.
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