"Una cellula terroristica pronta a colpire l'Italia". Fermi a Bari e Milano

Tre afghani sospettati nella rete, ma ci sono altri nel mirino. Scoperte foto e slogan: pensavano alla strage

Il sindaco di Bari con Harim Nasiri in una foto scattata durante una marcia
Il sindaco di Bari con Harim Nasiri in una foto scattata durante una marcia

La serata di terrore e morte che ha devastato Parigi si era consumata da appena tre giorni. E loro, i jihadisti radicati in Puglia che negli smartphone custodivano proclami inneggianti all'Isis e minacce «ai cani infedeli», già si preparavano a colpire in Italia: filmati, sopralluoghi, accurata scelta dei bersagli, insomma i primi preoccupanti passi per spargere sangue innocente.

Un copione del terrore cancellato con l'intervento dei carabinieri del Ros. I quali hanno scoperto a Bari i componenti di una cellula che però attraversavano l'Europa in lungo e in largo attraverso frontiere fantasma e grazie alla facciata di profughi ottenuta con la richiesta di asilo politico, che consentiva tra l'altro di ottenere un posto nel centro di accoglienza. Il blitz è scattato all'alba di ieri, quando i militari hanno sottoposto a fermo gli afghani Hakim Nasiri, 23 anni, Guldistan Ahmadzai, 29 anni, e il pakistano Zulfiqar Amjad, 24 anni, rintracciato a Milano: il primo è accusato di terrorismo internazionale ed è quello immortalato in un selfie con il sindaco Antonio Decaro (Pd) il 10 settembre del 2015 mentre partecipa alla cosiddetta «marcia degli scalzi», il corteo coordinato dalla Cgil a favore dei diritti dei profughi; gli altri devono rispondere di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Due afghani sono tuttora ricercati per terrorismo: Qari Khesta Mir Ahmadzai, e Surgul Ahmadzai, di 30 e 28 anni, quasi certamente tornati in patria.

Volevano una strage, colpire in luoghi affollati, tra la gente che faceva shopping o in procinto di partire. Nel mirino sono finiti porto e aeroporto, ma anche un centro commerciale. Dove alle 20,20 del 16 dicembre dell'anno scorso un passante nota un uomo che gira un video e chiama i carabinieri; vengono identificati quattro afghani e gli investigatori scoprono sui telefoni cellulari due filmati: uno all'interno dell'ipermercato e l'altro all'aeroporto. In quel momento la Procura apre formalmente l'inchiesta. Che nel giro di poco tempo si arricchisce di nuovi elementi. In quegli smartphone c'è di tutto: dalle immagini di Obama raffigurato con una testa di asino ai selfie con armi da guerra. Ma ci sono anche le fotografie degli altri sopralluoghi: a Roma, nella zona del Circo Massimo e al Colosseo, e a Londra dove era stata filmata la cabinovia che sorvola il Tamigi e collega la penisola di Greenwich con i Royal Docks. I telefoni sono una miniera di inquietanti informazioni per i carabinieri. Sullo schermo spuntano le immagini scattate il 16 novembre nel porto di Bari dinanzi alla fregata Maestrale della Marina militare: in quella circostanza, come riporta una relazione della guardia di finanza, tre afghani, tra cui uno di quelli adesso ricercati, all'epoca residente a Roma, vengono sorpresi mentre scattano fotografie ma restano in libertà.

Nei mesi successivi i carabinieri portano alla luce ramificazioni a livello internazionale: viaggi in Belgio, a Londra, Parigi, Calais e soprattutto a Budapest, centro nevralgico per la gestione del traffico di clandestini. L'Europa si rivela una grande zona franca.

Uno degli indagati nel corso di una telefonata dice: «Questa è la decima volta che viaggio dalla Francia all'Italia gratis»; poi spiega: «Se lasci le impronte in Italia poi ti daranno la commissione... questo è un Paese dove si viaggia senza biglietto! Qui non verrai arrestato, qui dai solo il nome, ha capito?». Gli investigatori hanno recuperato i libri contabili dei mercanti di umanità e hanno accertato come uno degli afghani coinvolti nell'inchiesta avesse il numero di una carta prepagata intestata a un connazionale già condannato per documenti falsi, ma rimesso in libertà dopo la sospensione condizionale della pena.

Tutto però ruotava attorno ai permessi di soggiorno. Che a quanto pare non erano un problema. Al punto che in un'intercettazione, un amico di uno degli indagati dice: «Vaff... all'Italia. L'unica cosa buona è che danno i documenti».

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