Charlie ritorna con Maometto: in copertina "tutto è perdonato"

Uscirà domani in 3 milioni di copie e col Profeta che regge il cartello con lo slogan che ha fatto il giro del mondo: "La blasfemia è un diritto: non ci hanno ucciso"

La copertina del nuovo numero di Charlie Hebdo
La copertina del nuovo numero di Charlie Hebdo

La battuta che non ti aspetti segna la linea di confine, si accende nel buio come una scintilla, è la risata che vi seppellirà. É la prima riunione di quel che resta di Charlie Hebdo , nella sala conferenze di Libération , un tavolo tondo, venticinque persone, una sola finestra. Willem, Luz, Coco, Babouse, Sigolène Vinson, Antonio Fischetti, Zineb El Rhazoui, Laurent Léger: c'è chi ha gli occhi lucidi e le mani giunte, chi non sa trovare parole, chi ha tutto meno che voglia di ridere. Ma c'è da preparare il prossimo numero, un altro numero zero, è lì che ricomincia la vita, è li che non ci si arrende: «Allora lo facciamo? - chiede Gérard Biard, il direttore - Cosa ci mettiamo domani?...» Patrick Pelloux, che la strage l'ha sfiorata solo perchè quel giorno aveva un altro appuntamento, risponde come sarebbe piaciuto a Charb: «Non lo so, di che parlano i giornali oggi?...» La risata libera l'aria da un peso. «Lo scriveremo, con le nostre lacrime» aveva detto a Radio France Inter . Non è vero: lo scriveranno con la rabbia e l'orgoglio di sempre.

Ridono anche in Place de la Republique, mentre Hollande li abbraccia, la fascetta sulla testa dei superstiti, sembrano kamikaze giapponesi. Ridono come gli «Amici miei » al funerale del Perozzi perchè come diceva Rimbaud «la vita è una farsa dove tutti abbiamo una parte». Ridono perchè mentre gli sguardi di milioni di persone si concentrano su quell'abbraccio un piccione lascia cadere in mondovisione un regalino per Hollande sulla manica della giacca, se ne accorgono tutti meno monsieur le president , le risate fanno a pezzi la prigionia delle lacrime, incontenibili come cascate, apparentemente fuori posto, paradossalmente simboliche: «Hollande potrebbe tranquillamente venire a lavorare con noi... - è sempre Pelloux a trovare la battuta - Suo malgrado, ci ha fatto ridere tutti in cinque secondi. Aspettiamo Hollande in redazione. E anche il piccione...».

Charlie Hebdo tornerà in edicola domani, tradotto in 16 lingue, con una tiratura straordinaria, tre milioni di copie, venti volte le 60mila normali, sedici pagine e la matita affilata come una lama. «Non cederemo nulla - spiega Richard Malka, il legale della rivista - e ci saranno ovviamente delle vignette su Maometto». Perchè sia chiaro «lo stato d'animo Je suis Charlie significa anche diritto alla blasfemia». Davanti all'ingresso della redazione, presidiato da poliziotti con i mitra spianati, un cartello legato con una rosa rossa al tronco di un albero: «Il delitto di blasfemia è stato abolito nel 1789». Sarà un numero «commemorativo» dice Biard, «ma senza essere piagnucolone». Niente spazi bianchi per ricordare chi non c'è più, niente numero speciale, niente necrologi. «Cercheremo di far ridere, perchè questo è quello che sappiamo fare meglio. Abbiamo iniziato a lavorarci da giovedì, all'indomani dell'attentato». Ci saranno ancora Charb, Cabu, Wolinski, Honoré, materiale mai pubblicato che la redazione ha ritrovato, come se non fossero mai andati via.

Non solo un milione di tiratura. La redazione di Charlie , è stata inondata di richieste di abbonamento, 250mila euro sono arrivati dall'Associazione Presse et pluralisme , un milione è stato promesso da Fleur Pellerin, ministro francese della Cultura, anche alcune agenzie internazionali lo distribuiranno, il ricavato devoluto alle famiglie delle vittime. «Non hanno ucciso questo settimanale» riassume il morale della truppa ancora Biard. E infatti ecco arrivare la prima pagina, anticipata ieri sera da Liberation : un Maometto disegnato da Luz che regge un cartello con lo slogan «Je suis Charlie».

E sopra di lui la scritta tout est pardonné , tutto è perdonato. Il resto è nel coraggio delle matite. Non basta avere un'idea, dicevano i fratelli Rosselli uccisi a Bagnoles-de-l'Orne, quasi ottant'anni fa: un'idea bisogna soprattutto viverla.

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