Che noia lo «scolarese»: eterna solfa da corteo

di Forse la scuola di Matteo Renzi non sarà «buona». Di certo non sono migliori gli slogan portati in piazza ieri da sindacati, studenti e professori uniti nello sciopero e nella lotta contro ogni cambiamento. Quante volte abbiamo sentito le parole d'ordine dei manifestanti? Tante. Ogni autunno, quando parte il rito delle occupazioni. Vediamo qualche esempio di «scolarese», un linguaggio a metà strada tra il comunicato sindacale e il tweet da 140 caratteri. I progetti devono sempre essere «inclusivi» perché le riforme «non si fanno da soli» altrimenti «la democrazia è in pericolo». Traduzione: si discute fino a quando i progetti medesimi non finiscono dentro a un cassetto, possibilmente per sempre. La «autonomia» degli istituti deve sempre essere «vera». Eppure ogni tentativo di renderla tale, in passato, è stato affossato nell'ordine: dal ministero estensore di circolari accentratrici e dai sindacati allergici all'idea di perdere la propria influenza. Talvolta anche dai docenti che dalla «autonomia» avrebbero molto da guadagnare. I presidi, quando si attribuisce loro qualche potere, diventano subito «sceriffi». La «scuola privata» sottrae sempre «fondi a quella pubblica» e «viola la Costituzione». Chi festeggia per questa situazione? Facile: «I padroni». Siamo nei pressi della truffa ideologica. La scuola paritaria è pubblica a pieno titolo (anche se non statale). Inoltre quintali di ricerche documentano l'esatto contrario rispetto a quanto affermato dai manifestanti nel corso dei decenni: la scuola paritaria garantisce un cospicuo risparmio senza il quale la scuola di Stato chiuderebbe i battenti nel giro di poche ore. In quanto alla Costituzione, è aperto il dibattito sull'interpretazione dell'articolo 33, quello che recita: «senza oneri per lo Stato». Infine, c'è chi fa i salti mortali per pagare al proprio figlio l'educazione che ritiene migliore. Si chiama libertà ed esercitarla in Italia costa caro in tutti i sensi. È grottesco credere che nelle paritarie si aggirino solo aristocratici in erba. In primo piano, il giovane studente e l'anziano sindacalista mettono sempre il «merito». Ma la meritocrazia è vista come il fumo negli occhi proprio dai sindacati perché potrebbe significare una «discriminazione» in busta paga e nella chiamata dei professori. Chiedo scusa se passo alla prima persona, ma ho assistito allo scempio dei fondi d'istituto (destinati dal preside - e non era uno sceriffo - ai docenti volenterosi) a opera di sindacalisti mossi da un solo obiettivo: distribuire il risicato tesoretto a pioggia, in parti uguali. La riforma non è certo esente da critiche.

A esempio, si potrebbe discutere su reclutamento (sarebbe il caso di privilegiare i vincitori di concorso), formazione continua (a forte rischio di risolversi in perdita di tempo per chi sta già in prima linea e fa bene il suo mestiere) e sicurezza delle aule (ancora incerta, nonostante le promesse). Ma lo «scolarese» ha questo effetto collaterale: la marea degli slogan sommerge anche le battaglie serie.

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