Roma - Non basterà il boost cinese a fare decollare l'economia italiana. L'unico Paese in grado di influenzare, nel bene e nel male, l'economia italiana resta la Germania. Dal «Rapporto sulla competitività dei settori produttivi - Edizione 2019» firmato dall'Istat emerge un'analisi poco favorevole alle tesi di chi ci vuole allontanare dall'Europa. «L'assenza di elevata connettività dei settori meno centrali negli scambi internazionali riduce la possibilità per l'Italia di beneficiare di shock positivi provenienti da Stati Uniti e soprattutto Cina», si legge nel rapporto.
Un modo per dire che il Paese è un po' periferico rispetto alle principali rotte commerciali. E che la Germania resta il nostro principale partner.
Difficile pensare che gli accordi con la Cina possano cambiare qulacosa. Ieri Airbus e China Aviation Supplies Holding Company (CAS) hanno siglato un accordo quadro per l'acquisto di un totale di 300 aeromobili Airbus da parte di vettori cinesi. Accordo raggiunto alla presenza del presidente cinese XI Jinping in visita ufficiale, e del Presidente francese Emmanuel Macron. L'Italia ha concordato investimenti in infrastrutture legati all'adesione al Belt and road initiative (La nuova via della seta) per 2,5 miliardi di euro. In Sicilia ha fatto notizia un accordo sulle arance, peraltro già siglato. Gli accordi con Parigi, insomma, sono decisamente più fruttuosi.
I problemi dell'Italia non sono recenti. La produttività del lavoro è bassa. Tra il 2000 e il 2016 è cresciuta dello 0,4%. In Germania nello stesso periodo è salita del 18,3%, in Francia, Regno Unito e Spagna sopra il 15%. Nel 2018 la dinamica italiana è stata simile a quella degli altri paesi Ue, ma «il gap accumulato negli ultimi quindici anni verso quasi tutte le principali economie avanzate è ancora lontano dal colmarsi».
La produttività è in sintesi il valore del lavoro. In Italia è bassa perché le aziende non sono state in grado di reggere la competizione investendo. Il calo della produzione è una conseguenza. Tra gli altri dati diffusi dall'Istat, quelli sul fatturato manifatturiero, cresciuto del 3,2%, in decelerazione rispetto al 2017 (+5,0%).
Ieri il Fondo monetario internazionale ha lanciato l'allarme. L'Italia è scivolata in recessione e questo trimestre l'economia potrebbe registrare una nuova contrazione, ha spiegato il vice direttore generale del Fmi, David Lipton.
Colpa delle «vulnerabilità» dell'economia italiana. In Europa l'Fmi mette in risalto i rischi della Brexit e quelli legati alle tensioni tra Stati Uniti e Cina. L'Ue sta «affrontando crescenti rischi, dal protezionismo alla Brexit, e ha bisogno di fare di più per essere pronta per la crisi».
Un guaio per l'Italia, ha sottolineato Renato Brunetta di Forza Italia. Si rischia un Def dimezzato e in ritardo. Ma «ci pensa il Fmi a lanciare l'allarme». La crescita sotto le aspettative non potrà che rendere più difficile centrare gli obiettivi di finanza pubblica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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