
Non era legato ad alcun carro politico. E soprattutto non si era consegnato all'ideologia del politically correct. Viveva la sua omosessualità senza enfasi, senza innalzare cartelli, senza annunciare dogmi. E anzi, più di una volta, aveva sferzato un certo conformismo del mondo gay.
Nel 2015 Re Giorgio affida una riflessione controcorrente al Sunday Times: "Un uomo omosessuale è uomo al 100 per cento. Non ha bisogno di vestirsi da omosessuale". Non ha la necessità di marcare la propria identità. Altro che Gay Pride, altro che sfilate e proteste davanti al Palazzo. Non gli interessava, anzi non sopportava l'affiliazione o, peggio, la militanza in qualche movimento che sdoganasse i gay. Questa mentalità non gli apparteneva, anzi la rifuggiva.
"Quando l'omosessualità è esibita all'estremo - dichiara in quel colloquio con il giornale britannico - come per dire Ah, sai sono omosessuale', questo è qualcosa che non ha niente a che fare con me. Un uomo deve essere un uomo".
Un omosessuale è anzitutto un uomo e solo dopo un gay. Di conseguenza è chiamato a vivere con discrezione la sua vicenda. Attenzione: non è un incitamento all'ipocrisia, alla finzione, alla dissimulazione. Al contrario, non c'è bisogno di spingere né tantomeno di scandalizzare o di trasformare la propria cifra sessuale in uno strumento di battaglia politica.
Un percorso, se si vuole tentare un paragone, parallelo a quello di un grande artista come Lucio Dalla che era lontanissimo dalle crociate di alcune componenti della comunità gay. Frange sempre sul piede di guerra, in un turbine di polemiche e provocazioni, pronte ad accusare di omofobia chiunque non fosse schierato dalla loro parte, intesa naturalmente come l'unica nobile, progressista e illuminata.
C'è un nesso fra questi due geni che hanno regalato all'Italia talento e creatività. Tutti e due erano fuori dal campo di battaglia e anzi erano infastiditi dai continui richiami alla condizione gay.
Una cifra estetica e insieme morale: no ai corpi maschili quando sono ridotti a un'esplosione di muscoli, no alle requisitorie scagliate da una minoranza contro il resto della società.
Nel 2023, nell'ultima giornata della moda milanese maschile, Armani fa camminare sulla passerella cinque coppie tradizionali, composte da un uomo e una donna. "È una scelta precisa - confessa in quell'occasione a La Stampa - volevo rivedere una coppia carina, seria. Si parla di un uomo e di una donna che si vogliono bene, che si amano. Facciamo vedere questa realtà che piace a tutti".
È molto tradizionale, Armani, e sembra quasi ignorare volutamente tutte le questioni che i gay hanno sollevato, spingendo sul pedale dei diritti civili. "Poi ci sono le trasgressioni, le varianti, le modernità - è il suo commento stringato, quasi una concessione alle opinioni dei più - vanno bene, non dico nulla". Ma la conclusione sembra un inno all'eterosessualità: "Un uomo e una donna che si amano piacciono a tutti".
Insomma, è il modello conservatore ad attrarlo, i comizi delle icone del movimento gay vengono accolte con freddezza se non ostilità. E le avanguardie gay contraccambiano, senza concedergli nulla.
Anzi: "Da parte di Armani - si legge su Gay.
it - un'uscita infelice, ancorata ad una visione eteronormativa così clamorosamente anacronistica, legata ad un'Italia bigotta che tutti noi vorremmo passata, archiviata, molto banalmente aggiornata".Così il signore del made in Italy diventa un reazionario, o quasi, e oggi molti esponenti di quella cultura fanno a gara a scansarlo, a non ricordarlo, a non dedicargli nemmeno una parola.