All'origine era un Movimento, compatto come un monolite, per Cinque Stelle. Dopo sei anni abbondanti di Parlamento e quasi due al governo, nessuno ricorda più il significato delle stelle dei tempi d'oro. E il Movimento, quasi come se fosse uno scherzo del destino, è imploso in cinque partiti. Alla cifra beffa siamo arrivati proprio durante queste feste di Natale e Capodanno. Con l'addio dell'ex ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti e la cacciata del senatore Gianluigi Paragone, che si vanno ad aggiungere ai parlamentari fuoriusciti iscritti al Gruppo Misto. Ma chi è rimasto dentro, ormai, si muove per conto proprio. Dal partito «autonomista» di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio, ai governativi filo - Pd capeggiati da Beppe Grillo, Giuseppe Conte e Roberto Fico.
Se Di Maio, il capo politico, è sempre più isolato e gli altri hanno dovuto abbandonare la nave, allora il partito più numeroso è rappresentato da chi vuole governare a ogni costo. Ma preferibilmente con il Pd. Un altro scherzo del destino. La beffa delle beffe per chi era nato per annientare i dem sotto i colpi dell'antipolitica. Le figurine sono tre. C'è il Garante, Beppe Grillo, che ha archiviato il vaffa e le volgarità per consegnarsi al ruolo di eminenza grigia dell'accordo con il centrosinistra. Un'alleanza che il fondatore auspica stabile e strutturale. Segue Giuseppe Conte, grillino per caso e premier di fortuna. L'avvocato è passato da Matteo Salvini a Nicola Zingaretti. Sempre a Palazzo Chigi, anche se con una consapevolezza e un'autonomia diverse rispetto alla prima esperienza. Ora la sinistra lo considera talmente affidabile da non disdegnare l'idea di vederlo come candidato premier alle prossime elezioni, quando ci saranno. L'ultima punta del tridente è il presidente della Camera Roberto Fico. Con i parlamentari a lui vicini incarna la sinistra movimentista che si è fatta governista.
Dicevamo di Di Maio. Oltre all'appoggio condizionato di Davide Casaleggio gli restano una pattuglia di parlamentari, molti nominati nel gruppo dei facilitatori, e qualche sottosegretario. Il figlio di Gianroberto ne apprezza il pragmatismo e la volontà di tenere il M5s equidistante dallo schema destra - sinistra. Entrambi stanno cercando di gestire la riorganizzazione interna piazzando più bandierine possibili nella futura struttura del partito. In consiglio dei ministri, il capo politico ha però perso delle pedine: gli ex fedelissimi Riccardo Fraccaro, Vincenzo Spadafora e Alfonso Bonafede si sono avvicinati a Conte. E non hanno apprezzato alcune bordate lanciate da Di Maio contro l'asse con il Pd.
Gli altri sono fuori. L'ultimo, in ordine di tempo, è Gianluigi Paragone. Dopo l'espulsione, il senatore ha incassato l'appoggio di parecchi big rimasti dentro. Come l'amico Alessandro Di Battista, ma anche l'ex ministro Barbara Lezzi e il senatore Mario Michele Giarrusso. Restano nella palude i sei senatori e i cinque deputati approdati al Misto per le ragioni più diverse. Tra chi è uscito per protesta e chi è stato buttato fuori per dissidenza o per i trucchi sulle restituzioni, tutti sono potenziali prede del gioco parlamentare. Qualcuno è già passato alla Lega.
Altri, come la senatrice Paola Nugnes, potrebbero essere sedotti dal progetto ambientalista di Lorenzo Fioramonti. Eco, altro partito della diaspora, dovrebbe partire a breve forte di un drappello di una quindicina di deputati stufi del M5s. Fino alla prossima spaccatura.
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