Fine della caccia, ma non delle polemiche, della rabbia, dell'incredulità. Alle cinque del mattino, su un vagone diretto a Milano, due poliziotte bloccano il capobranco dei violentatori di Rimini. È l'unico maggiorenne, viene dal Gambia. E il suo profilo, la sua storia, sembrano fatti apposta per gettare benzina sulla tensione di questi giorni, per dare fiato a chi dice «adesso basta». Perché Guerlin Butungu in Italia è stato accolto, aiutato, coccolato, mantenuto. E lui ha ringraziato dell'ospitalità trasformandosi in una belva.
Dal pomeriggio di sabato, quando i più giovani del branco erano finiti in manette, gli investigatori dello Sco e della Mobile avevano in mano tutto di lui: nome, foto, numero di telefono. Alle due di notte lo intercettano a Pesaro mentre attraversa in bicicletta un parco, lui riesce a svanire nel buio, punta verso la stazione, sale sul regionale veloce 2276 per Milano. Ma il treno a Rimini viene bloccato e circondato dalla polizia, che ha seguito gli spostamenti del cellulare di Butungu. Lo catturano. Lo portano in questura, lo espongono a viso aperto ai flash dei fotografi. È maggiorenne, per lui nessuno dei riguardi che la legge impone ai suoi complici.
In una manciata di minuti, faccia e storia del capobranco sono sul web. E la rabbia dei commenti diventa incontenibile. Si scopre che è sbarcato nel 2015 a Lampedusa, che ha detto di essere in fuga dalla guerra, ha chiesto lo stato di profugo e l'asilo politico. L'Italia gli ha detto di sì, «protezione umanitaria» avviandolo nel circuito delle comunità di accoglienza, dei corsi di italiano, della formazione professionale, degli stage. E lui ha saputo incarnare alla perfezione la parte del bravo giovane desideroso di integrarsi. «Mai creato problemi, mai comportamenti inadeguati», dicono adesso le comunità che lo hanno avuto in affido. Si dava persino daffare per cercare lavoro, o almeno fingeva di farlo: alcune foto lo ritraggono in giacca e cravatta, pronto a presentarsi a un colloquio. Giocava a pallone, frequentava i testimoni di Geova, e il giorno del terremoto di Amatrice aveva postato su Facebook il suo dolore per le vittime. Ma era tutta una finta, la recita di uno che aveva già deciso di fare dell'Italia la sua terra da razzia. Chi fosse davvero Guerlin Butungu in comunità probabilmente non se lo erano chiesto. Non si erano fatti domande neanche quando aveva iniziato a girare con vestiti orologi e costosi. E non avevano avvisato nessuno neanche quando Butungu era sparito senza avvisare nessuno, due mesi fa. La scelta dei tempi non sembra casuale: l'inizio dell'estate, la stagione che affolla la riviera adriatica di turisti e di prede. Alla fine di giugno, Butungu aveva ormai deciso di dedicarsi a tempo pieno al mestiere di criminale, alla testa del gruppetto di ragazzini che aveva raccolto intorno a sé, anche loro pescati nel circuito dell'immigrazione ben accolta: i due fratelli marocchini K. e M., quindici e diciassette anni, e U., il nigeriano, sedici anni. Feroci quanto lui, nel racconto dei fidanzati polacchi e della trans peruviana finiti nelle loro grinfie: ma che ora avranno buon gioco nel provare a limitare i danni, giurando di essere stati plagiati dal capo, di essere stati condotti per mano da lui nell'escalation della violenza.
Lui, Butungu, davanti ai flash tiene la testa alta, negli occhi uno sguardo quasi di sfida. E anche in questura, davanti ai poliziotti e al pm, fa la parte del duro. Non piange, non chiede scusa.
Per questo ci sarà tempo dopo, quando capirà cosa lo attende. Perché lui non è minorenne ,con lui la legge non avrà il guanto morbido. E alle accuse per i due stupri del 25 agosto potrebbero aggiungersene altre. Non ci si improvvisa capobranco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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