Roma - Maurizio Casasco, presidente di Confapi, il nuovo codice antimafia è diventato legge. Il sequestro preventivo dei beni viene allargato agli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione come la corruzione. Ce n'era bisogno?
«Direi proprio di no. Noi piccoli e medi industriali, che ogni giorno lavoriamo fianco a fianco dei nostri collaboratori, siamo per la legalità senza se e senza ma. Ma così rischiamo di buttare il bambino con l'acqua sporca: un proliferare di norme che hanno intenti nobili ma che troppo spesso si concretizzano in ulteriori lacci e lacciuoli burocratici che imbavagliano le imprese e che fanno solo perdere tempo».
Condivide le preoccupazioni espresse dal presidente Mattarella?
«Ho molto apprezzato, malgrado abbia - se così si può dire - le mani legate, la sua posizione di richiamo al governo sui possibili e terribili effetti di un tale provvedimento. D'altra parte, fior di costituzionalisti come Sabino Cassese, slegati dalla ragion di Stato, hanno paventato profili di incostituzionalità. Anche Cantone, che non è certo tenero su questi temi, ha espresso dubbi e caldeggiato una revisione».
Non ritiene paradossale approvare un simile testo nel momento in cui le motivazioni della sentenza del processo «Mafia Capitale» evidenziano l'impossibilità di equiparare le associazioni di stampo mafioso e quelle che operano contro la Pa?
«Noi di Confapi abbiamo più volte evidenziato l'abnormità della norma, soprattutto perché applicata nella fase di indagini preliminari. E, come la storia ci insegna, non è detto che porti alla colpevolezza. Io, come vicepresidente delle pmi europee, posso ben dire che non si riscontrano norme simili in nessun altro Paese. La sacrosanta lotta alla mafia si fa con la crescita, il rilancio della manifattura, l'aumento dei posti di lavoro per i giovani, una vera sbrurocratizzazione dell'apparato statale».
Quante difficoltà creerà il nuovo codice visto che i tempi della giustizia pesano molto sui costi d'impresa? Il blocco dei beni non rischia di far aumentare chiusure e fallimenti?
«Stiamo cercando con grande fatica di buttarci dietro le spalle una crisi che ha lasciato troppe vittime nel suo percorso. Siamo rimasti in Italia, paghiamo le tasse, continuiamo a dare lavoro e ci aspettiamo misure che allarghino e non restringano le prospettive di sviluppo. Non dimentichiamo che ciascun nostro imprenditore butta quasi un mese all'anno per adempimenti burocratici, più del doppio di un suo collega britannico».
Come si riuscirà a fare impresa quando a causa delle lungaggini passa molto tempo tra un avviso di garanzia, un eventuale rinvio a giudizio e la possibile successiva assoluzione?
«La reputazione per un imprenditore è tutto. Le inefficienze della nostra giustizia sono ancora un potente freno agli investimenti, soprattutto stranieri. Occupiamoci piuttosto di dare modi e tempi certi anche in campo civilistico».
A proposito di difficoltà, che giudizio esprime sulla legge di Bilancio?
«Aspettiamola nella sua forma definitiva.
Da anni insistiamo sulla necessità di misure che tengano conto delle dimensioni delle pmi e vadano verso una progressione fiscale legata a queste peculiarità. Inutile sottolineare che abbiamo un tax burden tra i più alti nel mondo, un cuneo fiscale superiore di 10 punti alla media europea; per non dire poi dei costi esosi dell'energia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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