Dal recente passato riemerge un episodio che mette in imbarazzo l'aspirante presidente della Rai Marcello Foa, e che fa sussurrare a più di un esponente della maggioranza: «Quella candidatura non piace al Quirinale».
In verità, racconta chi ha seguito da vicino la lunga trattativa sulle nomine Rai, il Quirinale (che non ha competenze in materia) non ha chiesto né avuto alcuna informazione preventiva sulle scelte del governo, apprese solo a cose fatte, né ha sollevato obiezioni. Ad alimentare le voci sul «nome che non piace» non sono solo gli attacchi di Foa a Mattarella denunciati dal Pd, ma anche uno scontro diretto che vide il Colle intervenire per smentire con durezza alcune affermazioni fatte dallo stesso giornalista. Era lo scorso maggio, il premier Conte era appena stato incaricato, e aveva fatto il suo «discorso di accettazione» al Colle. E Marcello Foa, intervistato dal blog complottista Byoblu, ex Cinque Stelle molto attivo nel rilanciare propaganda filo-putiniana in Italia, aveva accreditato il sospetto di una «manipolazione» delle parole del premier incaricato orchestrata dal Colle. L'accusa era di aver diffuso ai giornalisti un testo di Conte contenente affermazioni pro Ue e rassicurazioni ai mercati diverse da quelle effettivamente pronunciate. «Se confermato ci troviamo di fronte ad un chiaro tentativo da parte del Quirinale di imporre un frame per accontentare mercati e europeisti, frame contrario a quanto previsto dal contratto firmato da Lega e i 5 Stelle, e questo tentativo avviene usando, secondo me in maniera del tutto arbitraria, una istituzione quale il Quirinale», aveva tuonato Foa. Peccato che l'accusa fosse infondata, perché basata su retroscena che riportavano frasi pronunciate da Mattarella nel colloquio privato con Conte, e non dal premier. Il Colle smentì con durezza quelle «affermazioni false, diffamatorie, gravemente lesive dell'immagine della Presidenza della Repubblica», ricordando che il Quirinale «non ha distribuito alcun testo ai giornalisti» e denunciando il «tentativo di minare la credibilità dell'istituzione». Un incidente che porta acqua al mulino di chi, come il dem Verducci, definisce la designazione di Foa «una rottura istituzionale» perché il presidente Rai «deve essere figura di garanzia, che tutti possano rispettare e nei cui comportamenti tutti possano riconoscersi».
Il Pd chiama ad un «voto compatto»
contro Foa, difeso da Di Maio contro «il nuovo patto del Nazareno tra Pd e Fi». Ma anche il presidente della Camera, il grillino Fico, contesta «l'assoggettamento della Rai al governo», previsto da una legge che «va cambiata».
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