Non si parla mai male abbastanza dei dipendenti pubblici che fanno di tutto tranne che lavorare con scrupolo, come dimostrano gli ultimi episodi di Roma (vigili poco urbani e molto lazzaroni) e di Napoli (spazzini che pur di non spazzare si ammalano, ovviamente per finta). Ma bisogna aggiungere per amor del vero che essi sono colpevoli a metà. C'è qualcuno che li ha aiutati a diventare fannulloni e c'è qualcun altro che non muove un dito per recuperarli alla dignità del lavoro.
Ci fu un tempo in cui essi erano persone per bene e si guadagnavano lo stipendio alla grande. Posso testimoniare che la degenerazione del settore è iniziata negli anni Settanta, quando il sindacalismo sfrenato prese il sopravvento sul senso del dovere e contagiò il personale, riducendolo a una massa amorfa di gente che tira a campare. Poco meno che ventenne entrai nell'Amministrazione provinciale, dunque scrivo queste note con cognizione di causa. Il mio ruolo era quello dell'applicato, termine desueto che significa impiegato di basso livello. Mi pagavano benino, circa 100mila lire il mese, in un'epoca in cui con 500mila acquistavi un'utilitaria, e ti avanzavano i soldi per qualche pieno di benzina.
Gli organici allora non erano pletorici quanto oggi e i signori funzionari non battevano la fiacca. Al contrario erano molto impegnati, forse perché molto controllati. Non dico che imperassero la disciplina militaresca e la meritocrazia. Il posto però era fisso e nessuno ti licenziava neanche se ti grattavi il ventre invece di sgobbare. Infatti, benché fossi pigro e svogliato nonché incapace di stare seduto alla scrivania per oltre 10 minuti, non fui cacciato. Ero intoccabile come tutti i colleghi. I quali tuttavia non mi somigliavano. Alcuni erano fulmini di guerra e coprivano le mie manchevolezze con santa rassegnazione, giudicandomi probabilmente inabile.
In ogni ufficio c'erano al massimo quattro o cinque funzionari che facevano a gara - escluso il sottoscritto, s'intende - per sbrigare pratiche il più possibile. Il confronto fra i singoli era stimolante. Tutti erano vogliosi di distinguersi e di ottenere promozioni che, peraltro, si conquistavano tramite concorsi (...)
(...) esterni e interni. Li guardavo mentre smanettavano sulla macchina meccanografica (i computer non esistevano ancora) e pensavo: questi sono scemi, ma chi glielo fa fare di ammazzarsi di lavoro? In realtà lo scemo ero io. Tant'è che nel giro di due o tre anni mi trasferirono di qua e di là nel tentativo vano di trovarmi la collocazione giusta affinché rendessi quanto gli altri.
Alla fine me ne andai in cerca di fortuna e mi è andata di lusso. Ma non ho mai dimenticato le mezzemaniche accanto alle quali ho trascorso un pezzo di vita, ricevendone lezioni di comportamento. Lo stile della Provincia era di alto profilo. Gli amministratori erano seri, non spendevano una lira in più rispetto alle disponibilità. I servizi funzionavano egregiamente. Il cittadino era rispettato e, se aveva bisogno dell'ente, questo rispondeva con sollecitudine. Gli impiegati costituivano un piccolo esercito scattante. Le donne davano il buon esempio, erano imbattibili per la velocità con cui eseguivano il loro compito.
La svolta al peggio avvenne quando la politica fu inquinata dai portaborse che rimpiazzarono i vecchi borghesi della Democrazia cristiana, i quali si facevano eleggere consiglieri non per mancanza di alternative professionali, ma per il piacere e l'onore di servire la comunità. Il mutamento del costume fu rapido, favorito dal Sessantotto, che fece più danni dell'ottocentesco Quarantotto. I partiti occuparono la società, oltre che le istituzioni, e i furbacchioni ne approfittarono, iscrivendosi per brigantaggio chi al Pci, chi al Psi e chi alla Dc (correnti di sinistra, però, quelle di moda). Politica e sindacati si sposarono indissolubilmente, e fu il disastro. Le leve di comando nella pubblica amministrazione (dai piccoli Comuni allo Stato), passarono da mani esperte e oneste a mani svelte. E i risultati sono qui da vedere.
Sulla spinta delle raccomandazioni e dei concorsi truccati, le assunzioni sono aumentate a dismisura. La spesa clientelare ha provocato buchi nei bilanci, per tappare i quali la tassazione è stata incrementata mostruosamente. E poiché nulla è più «infettivo» della pigrizia, la classe impiegatizia si è adeguata al generale lassismo, forte della protezione totale della Cgil, della Cisl e della Uil. L'invadenza dei sindacati pretenziosi e assetati di potere - col beneplacito dei politici arrampicatori - ha fatto sì che il personale della Pa si trasformasse in un gregge allo sbando, privo di sorveglianza e senza un cane che mordesse le caviglie ai nullafacenti, presto diventati maggioranza assoluta.
La magistratura ha completato l'opera di disfacimento. Cito un solo caso paradigmatico: alcuni anni orsono vari dipendenti dell'aeroporto di Malpensa furono sorpresi a svaligiare - letteralmente - i bagagli dei viaggiatori. Vennero licenziati e processati, e naturalmente assolti perché in fondo rubare è solo una cattiva abitudine.
Il che implicò la riassunzione in blocco dei ladri. I fatti di Malpensa sono la regola. Non occorrono altre spiegazioni per comprendere come mai l'impiego pubblico si è ridotto da modello di efficienza a una cloaca dominata dalle pantegane.
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