il commento 2

diB envenuti al circo dell'inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia, già affollata di servitori dello Stato che vengono infangati da vivi, e che almeno hanno la possibilità di difendersi.

Ma ci sono anche servitori che invece vengono infangati da morti, e la cui memoria viene abbandonata in discarica senza che nessuno di quelli che in vita ne furono amici abbia il coraggio di alzare la voce per difenderli.

Ultimo entrato in scena: Umberto Bonaventura, colonnello dei carabinieri e poi vicecapo dei servizi segreti, l'uomo che catturò i rapitori di Moro e gli assassini di Calabresi.

Che stando alle sfolgoranti rivelazioni dell'ex 007 Gianadelio Maletti, latitante da tempo immemorabile in Sudafrica e colà interrogato, era addirittura «punciuto», mafioso a tempo pieno.

Il marchio piove addosso a Bonaventura, come il fango piovve su Vincenzo Parisi, capo della polizia, e sul pm Francesco Di Maggio, senza che

nessuno abbia osato dire quanto risibile sia l'accusa.

Poco dopo la sua morte, un importante pubblico ministero definì Bonaventura un carabiniere di «correttezza cristallina». Sarebbe bello che qualcuno lo ripetesse adesso.

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