Protetti da bolle che evitano a pochi fortunati una atmosfera irrespirabile. Parte di comunità combattive e autoreferenziali, pronti al sacrificio estremo pur di non intaccare uno stile di vita. Poco importa se, tutto intorno, il mondo cambia.
Riforme e vertenze sindacali stanno facendo sembrare l'Italia il set di un B movie di fantascienza degli anni Cinquanta. I marziani, manco a dirlo, sono pezzi di sindacato e di politica, impegnati a difendere stipendi ingiustificabili, status impensabili per la stragrande maggioranza dei lavoratori e regole superate.
A volte gli extraterrestri si rifiutano di salire nell'ultima scialuppa di salvataggio come nel caso Alitalia. Ieri sono stati resi noti i risultati del referendum tra i lavoratori, premessa necessaria all'accordo che dovrebbe salvare per l'ennesima volta la compagnia aerea italiana. Alla consultazione ha partecipato solo il 26,95% degli aventi diritto, pari a 3.555 dipendenti su 13.190. Un normale silenzio assenso per i sindacati che erano schierati per il sì, sicuri che l'accordo resti valido. Il referendum era effettivamente abrogativo e riguarda solo l'aspetto economico, cioè un taglio al costo del personale che si tradurrà in circa 100 euro in meno in busta paga per i livelli più bassi.
Sacrificio necessario a mantenere in vita la compagnia, comunque inaccettabile per una parte dei lavoratori. Contro i tagli si è schierata la Uilt, oltre ad alcune sigle di autonomi. A favore dell'accordo Filt-Cgil, Fit-Cisl, Ugl trasporti e Usb. Sull'altra parte dell'accordo, quella che riguarda gli esuberi, i fronti sono invertiti, con la Cgil contraria, Cisl e Uil a favore.
In entrambi i casi, trattative sull'orlo del burrone. Anche ieri la compagnia emiratina ha avvertito che l'accordo di tutti è essenziale. Ma un pezzo di sindacato conduce la vertenza come se fossimo nel 1973, come se non stessero circolando con insistenza voci su un possibile disimpegno di Etihad (l'ultima ieri, smentita da Alitalia e dalla compagnia di bandiera degli Emirati arabi uniti). E come se, fuori dall'astronave-Alitalia, non ci fosse un ambiente a dir poco ostile. È di pochi giorni fa un sondaggio di Confapi industria dal quale emerge che il 60% delle Pmi nei prossimi mesi ricorrerà a licenziamenti, tagli agli stipendi più alti e contratti di solidarietà.
Se la vertenza Alitalia puzza un po' di antico, quello che sta accadendo in questi giorni in Parlamento è ai confini della realtà. I tagli per gli stipendi dei dipendenti di Camera e Senato sopra i 240mila euro toccheranno pochi dipendenti. Circa 140, su un migliaio. Non riguarderanno tutta una serie di figure professionali, commessi, assistenti e operatori tecnici, che comunque godono di un trattamento che non trova paragoni nel privato e nemmeno nel resto del pubblico impiego. Il sacrificio che viene chiesto non è minimamente paragonabile al più blando piano di ristrutturazione aziendale, ma nel pianeta-Parlamento il super stipendio è una trincea invalicabile.
Ci sono forme di vita aliena - e non poche - anche nell'arte. E anche in questo caso non bisogna andare lontani nel tempo per trovarne una. Il Teatro dell'Opera di Roma si trova sull'orlo della liquidazione perché due sigle, Fials e Cgil, hanno indetto uno sciopero contro il piano di ristrutturazione. La legge Bray prevede che i teatri lirici possano accedere a fondi pubblici solo se si impegnano a risanare i conti. Il piano per l'Opera di Roma non prevede né mobilità né licenziamenti e nemmeno tagli allo stipendio, ma i sindacati chiedono di aumentare l'organico dell'Orchestra da 92 a 117 unità in modo da permettere una rotazione migliore e su questo le due sigle hanno indetto uno sciopero che potrebbe fare saltare incassi importanti (quelli di una rappresentazione della Bohème in programma per oggi) e tutto il piano.
Gli enti lirici italiani sono famosi per le indennità fantasiose concesse ai dipendenti, orari comodi e stipendi in media doppi rispetto a quelli degli insegnanti. Ma, si sa, anche i sindacati degli orchestrali degli enti pubblici sono pronti a sfidare tutte le leggi, anche quelle della fisica. Come i marziani.
L'accordo per il salvataggio della compagnia è stato sottoposto a referendum sindacale. Il quorum non è stato raggiunto (ha votato solo il 26,95% dei lavoratori), ma alcune sigle, come la Uil, sostengono che l'intesa vada comunque annullata. Facendo fallire la compagnia
In rivolta tutte le sigle sindacali dei dipendenti della Camera dopo la decisione dell'Ufficio di presidenza di mettere un tetto massimo agli stipendi a 240mila euro. Addirittura i sindacati avrebbero pronto la denuncia alla Procura per comportamento antisindacale
Il teatro va verso la chiusura per il boicottaggio da parte
della Cgil e degli autonomi della Fials che hanno fatto saltare anche la terza recita consecutiva de La Bohème e il piano di risanamento. Tutto di fronte a un accordo raggiunto dalla sovrintendenza con il 70% dei lavoratori- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.