Prima comunista, poi anti Cav. Ma ci mancherà

Da anni non era più lei: aveva perduto l'antica autorità, il carattere e la portanza politica e culturale

Prima comunista, poi anti Cav. Ma ci mancherà

Brutta notizia quella che ieri in un rigo annunciava la chiusura dell' Unità. Da anni non era più lei - quella fondata da Antonio Gramsci, la cui impronta restava solo, e labile, nel distico sotto la testata - avendo perduto l'antica autorità, il carattere e la portanza politica e culturale. Però seguitava ad occhieggiare nelle edicole e a comparire nel web tenendo viva la memoria di quello che fu un pezzo non trascurabile dell'identità italiana. Sapere che ha cessato le pubblicazioni addolora non solo perché con la chiusura di un quotidiano se ne va un po' di quella linfa civile che è la comunicazione, lo scambio di idee. Dispiace anche per ciò che L'Unità ha rappresentato nei primi quarant'anni dell'Italia repubblicana. Da quando era «Quotidiano degli operai e dei contadini» a quando si elevò a «Quotidiano del Partito comunista italiano». Da quando titolò (direttore Pietro Ingrao): «Stalin è morto - Gloria eterna all'uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell'umanità» a quando annunciò la caduta del muro di Berlino col titolo (direttore Massimo D'Alema): «Il giorno più bello d'Europa». Non una riga pubblicata sull' Unità poteva essere condivisa da un liberale: il giornale condusse sempre battaglie profondamente condizionate dall'ideologia (solo negli ultimi anni diventata genericamente «di sinistra»), perdendole quasi tutte, per altro. Ma non se ne poteva fare a meno perché giorno dopo giorno forniva il polso del popolo comunista - che fece dell' Unità la sua bibbia e la sua bandiera - e della sua nomenklatura, il Bottegone come felicemente lo chiamò Giampaolo Pansa. E se anche la si irrideva, Guareschi la faceva settimanalmente a pezzi nel suo Candido , leggerla bisognava leggerla: oltre tutto, nei suoi anni d'oro, con alla direzione il gotha comunista - Ingrao, Pajetta, Reichlin, Alicata, Tortorella, Ferrara, Macaluso - era anche molto ben fatta e ben scritta. Ma non certo sincera: l' Unità celebrava quotidianamente il rito della «doppia verità» che Togliatti mutuò da Stalin: una per le piazze, per le «masse». Per i lettori. Una per i Comitati centrali e l'areòpago intellettuale che faceva capo a Botteghe Oscure. Un giornale così, fortemente ideologizzato, trasudante ortodossia comunista da ogni rigo di piombo, fosse cronaca o fosse cultura, fosse politica estera o fosse economia, sembrò non potesse reggere a quanto avvenne nel dalemiano «giorno più bello d'Europa». Eppure per qualche tempo tenne alta e con orgoglio la testa.

Non più le trionfali tirature del 25 aprile, del primo maggio, non più l'esaltante strillonaggio delle edizioni speciali: solo un dignitoso vivacchiare. Ma quando arrivarono le figurine Panini con Veltroni direttore, nessuno più dubitò che la fine fosse vicina. E così è andata. Peccato, però.

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