Il concerto diventa speranza. E Manchester vince la paura

Migliaia di ragazzi all'Old Trafford, così «One Love» ricorda le vittime. E le popstar non deludono i fan

Il concerto diventa speranza. E Manchester vince la paura

Uno stadio pieno. La musica. Il suono della speranza. E immaginatevi il boato dei 55mila dell'Old Trafford quando è iniziato «One Love Manchester», il grande concerto che la minuta Ariana Grande ha organizzato a tempo di record dopo aver assistito a bruciapelo alla follia del suo (quasi) coetaneo Abedi, il maledetto kamikaze della Manchester Arena. Pochi chilometri dall'Old Trafford, ma tutta un'altra prospettiva. Un evento che centinaia di milioni di spettatori hanno seguito in mondovisione (in Italia su Rai1 e Rai 4 col commento di Andrea Delogu e Franco Di Mare e su Super! con Giovanni Caccamo e su Radio 2 e anche RTL 102.5 con Federica Gentile e Luca Dondoni).

Forse è stata la migliore idea per reagire dopo lo scempio: ritrovarsi tutti a cantare. Come se niente fosse stato, anzi come se ciò che è stato non cambiasse la nostra vita. Un megaevento simbolico con Robbie Williams, Katy Perry, Justin Bieber, Black Eyed Peas, Coldplay, Miley Cyrus e tanti altri, qualcuno a sorpresa come gli U2 in collegamento (sono in tour negli States), Stevie Wonder e gli Oasis riformati dopo il 2008 per un brano che ha un significato chiarissimo: Don't look back in anger, non guardare al passato con rabbia. Tutt'altro.

All'Old Trafford c'è voglia di andare avanti, di non farsi scalfire. Insomma, il modo più chiassoso e simbolico per dire che no, non basta una cintura esplosiva per zittire una generazione. Non a caso, dopo un commovente Marcus Mumford, sono arrivati i Take That e non a caso è toccato a loro il compito di alzare il volume con Shine del 2006. Davanti a quella che è stata la boy band degli anni Novanta c'erano anche le loro fan di allora, che però adesso sono le mamme di alcuni dei diecimila spettatori dell'Arena che hanno voluto subito tornare a un concerto. Una presenza fondamentale, un segno come a dire: occhio che non cambiamo le nostre abitudini e non ci avete per nulla tolto la speranza. Perciò il boato è stato doppio, anzi triplo quando sul palco è salito anche Robbie Williams (con la felpa di Justin Bieber...) a venticinque anni esatti dal loro primo disco. Un passaggio di testimone che, a dispetto della non eccezionale resa vocale di Robbie, è stato uno dei momenti più divertenti dello show. «Manchester we're strong», Manchester siamo forti, e Robbie si è commosso.

Come ai tempi di Live Aid e del Live 8 oppure, andando decenni indietro, di Woodstock o dell'Isola di Wight, la musica pop ha ritrovato una ragione sociale che non siano il primo posto in classifica o le copertine glamour. Stavolta, forse, è la ragione più assoluta e condivisa di tutte: la nostra salvezza e la conservazione di diritti conquistati nei millenni. Non c'è stata politica, all'Old Trafford, non c'è stata la campagna elettorale che pure in Gran Bretagna sta infiammando gli animi e mancano pure le solite marginali contestazioni tipiche in eventi del genere. Negli anni Sessanta e Settanta si organizzavano eventi rock per cambiare la politica o la società, e tutti sappiamo come sono finiti: grandi ricordi musicali ma minuscoli esiti sulla vita di tutti. Ora si fanno per conservare. Per difendersi. E avranno risultati senz'altro più decisivi con meno valore musicale ma più potenza simbolica. Dopotutto quella andata in scena davanti a una quantità sterminata di manifesti, scritte e cartelli alzati dal pubblico è stata una delle più toccanti manifestazioni di partecipazione emotiva che si siano mai viste dal vivo. Quando è salito Pharrell Williams, lo stadio è diventato una festa, altro che triste rituale commemorativo. «Non vedo nessuna paura», ha detto prima di cantare una coinvolgente Happy con Miley Cyrus. Come a dire: siamo felici alla faccia vostra. Boati nello stadio. E un applauso anche agli inglesi che, nonostante il disastro di sabato sera a Londra, non si sono tirati indietro.

«Break free» liberiamoci, come il titolo del brano che canta proprio Ariana Grande. Nonostante la grande stampa (e i critici musicali) sottovalutino spesso questi artisti, in realtà sono tra i testimonial più efficaci del tesoretto più prezioso che abbiamo: i nostri figli.

Per capirci, ogni video di Ariana Grande (molto commossa ieri sera) viene cliccato circa 1 miliardo di volte, il suo pubblico è generalmente under 18 e lei, come Justin Bieber e altri, ha una incredibile sintonia con il proprio pubblico. Perciò ha attirato la follia dell'Isis. E perciò «One Love Manchester» è stato un segnale di speranza, ricamato dalla giusta dose di retorica ma esaltato da un sentire comune candido come poche altre volte si è visto.

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