E poi dicono che gli manca lo sguardo sul futuro. Il decreto? È pronto, «è una rivoluzione», lo approveremo in pochi giorni. Le grandi opere? Le sbloccheremo, «restano solo alcuni dettagli», e dopo il Paese riprenderà a correre. La lista degli interventi? Ve la faremo avere, presto, prestissimo, quando avremo risolto «alcune questioni tecniche». Il taglio alla burocrazia? Eccolo: novantasei (sì, 96) pagine di articolato, alla faccia della semplificazione. Anche quello però è un documento provvisorio, «salvo intese», instabile come il governo. «Ma è un risultato clamoroso, io mi vanterò di questo provvedimento in Europa».
Faremo, provvederemo, chiuderemo nei prossimi giorni. Dopo la nottata di trattative, Giuseppe Conte illustra il decreto che non c'è. Gli occhi gonfi, tante diapositive, tantissime deroghe, rimandi, posticipazioni. Il premier si presenta infatti nella Sala Galeoni di Palazzo Chigi senza un testo definitivo, senza un accordo politico blindato, senza un'idea precisa di quando il dl potrà essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. La bozza ha subito diverse modifiche che devono essere assorbite dai ministeri e vagliate dalla Ragioneria generale. I passi avanti più concreti, quelli che potranno velocizzare la macchina, sono sui reati di abuso d'ufficio e danno erariale. Sugli appalti e i commissari restano distanze politiche, ma non importa, il premier ha quello che voleva, un provvedimento cornice da sbandierare a Bruxelles per dimostrare che stavolta l'Italia fa sul serio. Anzi, farà, guardiamo al futuro.
Centotrenta cantieri da far partire, anche se per ora l'elenco si ferma a cinquanta. Una sforbiciata alle regole e alle lungaggini del Belpaese. Una spinta alla ripresa. Al momento solo titoli, scatole vuote, belle intenzioni, ma è con queste carte che Conte inizia il suo viaggio diplomatico in Europa, tra Lisbona, Madrid e Berlino, alla ricerca di alleati in vista della battaglia per il Recovery Fund. Come un piazzista di lusso dovrà convincere Portogallo e Spagna a fare fronte comune e Angela Merkel a spalleggiarci. Peccato che la narrazione di una nazione in marcia cozzi contro tre rapporti freschi freschi che raccontano una realtà diversa. Bankitalia spiega che il quaranta per cento delle famiglie non potrà pagare il mutuo per la casa, l'Ocse che la disoccupazione arriverà al 12,4 per cento e la Ue che il nostro Pil crollerà dell'11,2.
Un quadro drammatico, la risposta è la solita strategia del rinvio. Autostrade, Ilva, banda larga, Mes, l'elenco delle scelte lasciate in sospeso è lunghissimo. Adesso pure il decreto Semplificazioni. Atteso e preparato per due mesi, doveva essere «la madre di tutte le riforme», il motorino di avviamento per l'economia. Invece dopo cinque ore di discussione notturne dal Consiglio dei ministri esce un monumento al voglio ma non posso, come ammette lo stesso Conte. «L'intesa è tecnica. Sul piano politico abbiamo lavorato tanto, abbiamo fatto alcune modifiche e serve qualche giorno per la versione finale».
Ma lui si dichiara soddisfatto. «Il decreto semplifica, digitalizza, velocizza, sblocca una volta per tutte cantieri e appalti. È il trampolino di lancio di cui l'Italia ha bisogno. Basta con i lavori fermi e con le attese infinite, perché la pubblica amministrazione potrà esporre solo una volta le ragioni di un no».
Non ci saranno gare sotto i 150 mila euro di importo, e aggiunge, i funzionari «non dovranno più avere paura di firmare, anzi rischieranno di più a non farlo, la responsabilità erariale si limita al dolo». Cita alcune opere inserite nel piano Italia Veloce e giura: «Meno file e meno scartoffie». Salvo intese?
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