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Conte-flop davanti ai leader. Fa dietrofront sulla Russia

Lo scivolone del premier al debutto al G7: appoggia Trump ma Putin non ci sta e gli altri lo ignorano

Conte-flop davanti ai leader. Fa dietrofront sulla Russia

Stretto tra «pupari e rosiconi», secondo la consapevole definizione di Beppe Grillo, già al suo esordio internazionale al G7 di Charlevoix (Canada) il premier Conte ha dimostrato di voler e poter correre rischi inediti e imprevedibili. Tanto per sé, quanto per il nostro Paese.

C'è da uscir matti sul serio. I «suoi» vicepremier ne parlano come dell'ultimo bomber acquistato (a voler mantenere un certo riguardo): «Sono contento di averlo scelto, sta andando bene», dice per esempio Salvini da Como. Senza soverchie cautele, sia il leghista che Di Maio gli ricordano che cosa debba fare attraverso i media. Così, però, anche i «rosiconi» del Pd ci vanno a nozze per tutta la giornata, e sarebbe meglio che la si piantasse con un autolesionismo che non disdegna neppure fake-news e, alla fine, non agevola certo l'immagine dell'Italia. Conte, da par suo, è invece davvero un temerario, capace di correre persino il rischio più grosso: prendere confidenza con il ruolo, decidere in proprio, esporsi fin troppo. «Sono qui a esprimere una posizione forte politicamente, perché io sono forte di una legittimazione politica molto intensa».

Accade perciò che, in continuità con il malvezzo di certi ultimi premier, anche lui informi via Instagram su che cosa faccia e cosa pensi («Arrivato in Canada, anche qui per portare gli interessi degli italiani»). Posta persino la foto del tavolo del primo incontro tra europei voluto da Macron, restando, fin qui, al provincialismo figlio della vanità sconsiderata dei tempi.

Ma quando poi si concede un break con i giornalisti internazionali, ecco il premier andare a ruota libera, raccontando di sé e di quel che si sono detti nei bilaterali, dimenticando ogni prudenza quando rivela della conflittualità sui dazi («ci sono state parole veementi di Trump e degli europei») e di un'Italia «moderata» che si comporterà «di conseguenza». È un attimo, perché il suo body-guard, pardòn portavoce, Rocco Casalino, lo prende rudemente per il gomito e se lo porta via (scena già capitata con altri uomini politici, ma che con Conte, considerato il ruolo, diventa subito un «caso» sul web). Prescindendo da questo, Conte però non se la cava affatto male: riceve complimenti, auguri e ossequi da tutti i capi di Stato. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, si dichiarerà «onorato, lui è un vero patriota italiano che si preoccupa dell'Europa», al termine di un incontro che non è stato dei più facili. Anche perché Conte ha tenuto fede al mandato: le fonti raccontano di un intervento «molto forte», nel quale ha voluto rimarcare la differenza con il governo precedente e una maggiore «centralità dell'Italia e dei suoi interessi, sia per le sanzioni alla Russia, i dazi e i migranti». Soprattutto sul regolamento di Dublino, il premier rafforza la contrarietà già manifestata da Gentiloni, evidentemente in modi più felpati. E ci tiene a farlo sapere: «Siamo totalmente insoddisfatti, è inaccettabile che l'Italia sia stata lasciata sola in tutti questi anni, gliel'ho detto a Tusk... Ci vuole più solidarietà, le proposte sono assolutamente insoddisfacenti». I due si rivedranno, così come con Jean-Claude Juncker, presidente Ue. «Sono uscito rassicurato - racconta al termine la vecchia volpe dell'euroburocrazia -, non vedo divergenze da affrontare tra Italia ed Europa... Riparleremo con lui di immigrazione e budget europeo. L'Italia ha un ruolo fondamentale...». Parole che dietro la cortina fumogena potrebbero nascondere esiti affatto rassicuranti, almeno per i nostri conti. Tusk si dice certo che la Ue avrà un'unica posizione sulla Russia, nonostante Conte avesse insistito su una rivalutazione delle sanzioni, l'apertura di un dialogo e appoggiato l'idea di Trump di riammettere Putin in un G8, pur essendo l'Italia, «confortevolmente nella Nato». Fredda la Russia, lapidario il commento di Tusk: «Lasciamo il formato del G7 così com'è.

Sette è un numero fortunato, almeno qui da noi».

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