Giuseppi in ritirata cede al premier. Prima tenta il blitz ma poi i 5s votano l'invio delle armi

Conte si accontenta di un "ampio" coinvolgimento del Parlamento

Giuseppi in ritirata cede al premier. Prima tenta il blitz ma poi i 5s votano l'invio delle armi

Asserragliato con i suoi, l'ex avvocato del popolo tenta un'ultima disperata resistenza. Ma alla fine la tenaglia in cui si ritrova stretto (da un lato il premier Draghi che non ha alcuna intenzione di cedere alle bizze dei 5 Stelle, dall'altro Di Maio che fa filtrare i numeri in crescita della sua scissione) lo costringe a firmare la resa. Così nel tardo pomeriggio, dopo una asciutta relazione del premier al Senato e una sua stringatissima replica al dibattito (in molti momenti surreale se non farsesco) di Palazzo Madama, e nessuna concessione ai 5s, la risoluzione di maggioranza che conferma la linea del governo sulla guerra all'Ucraina viene approvata con 219 si e 20 contrari. Stamattina toccherà alla Camera ascoltare il premier e votare, poi Draghi potrà partire per Bruxelles con (assai relativa) tranquillità. Perché a Palazzo Chigi certo non nascondono la preoccupazione per il caos nella maggioranza, tra implosione grillina e ambiguità leghiste.

La lettura dei giornali, che già ieri descrivevano la sua ritirata, aveva mandato il caffè di traverso a Giuseppe Conte. Così di primo mattino l'ex premier si attacca al telefono e dà il contrordine: «Bloccate la risoluzione», intima. Lunedì sera il vertice di maggioranza si era sciolto con un accordo sostanziale su un testo, inutilmente verboso, che lasciava in sostanza tutto come stava, sulla base del mandato che le Camere hanno dato al governo già da mesi con il decreto Ucraina. Niente «no alle armi», nessun obbligo per il premier di sottoporre ogni mossa del governo sullo scenario internazionale al vaglio del Parlamento. «Se il testo resta questo non possiamo più votarlo», annunciano (imbarazzati) ai colleghi di maggioranza la capogruppo grillina Castellone e gli altri delegati 5S. Così ricomincia un estenuante tira e molla, con i contiani che minacciano sfracelli, il Pd che media, gli altri che assistono e spalleggiano la fermezza del governo contro il tentativo di Conte di levare dal testo i riferimenti al decreto Ucraina per inficiare la libertà di manovra del premier, e il suo ruolo nella Ue. «Ma da marzo ad oggi non è cambiato nulla nell'aggressione russa: al governo va dato un mandato forte e pieno» dice la capogruppo Fi Bernini.

«Ci vogliono molta pazienza e nervi saldi», sospira il sottosegretario agli Affari europei Enzo Amendola, che sovrintende alla trattativa. Ore di discussioni, scontri, telefonate; a ora di pranzo il caos sembra prevalere: «Conte vuol strappare», temono i dem. Alle 15 Draghi parla in aula, e la risoluzione ancora non c'è. Tanto che al premier arriva un messaggio semi-serio da Giorgia Meloni: «Visti i problemi della tua maggioranza, puoi far votare la nostra risoluzione...». Il testo di FdI, in effetti, sposa senza arzigogoli la linea sull'Ucraina.

I contiani in aula si scatenano in interventi sconclusionati sulle imprese eroiche del loro leader, sulla pace e sul Superbonus che «ha alzato il Pil del 6%» (parola di tal Airola), dai quali però traspare che si sentono con le spalle al muro, perché Di Maio non attende altro che una mossa anti-Draghi per annunciare la rottura. «Volete regalargli il pretesto per la scissione?», chiede ai grillini il dem Alfieri. Che offre, come estrema mediazione, solo un aggettivo («Ampio») da aggiungere al «coinvolgimento delle Camere» nell'evoluzione della crisi. E tanto basta a far cedere le armi ai 5s.

«Ci hanno fatto perder tempo nel tentativo fallito di far fibrillare il governo», dice il leghista Candiani. «Un teatrino incomprensibile in un momento drammatico», lo bolla Casini. «Oggi è morto M5s, e va bene così. Torniamo a occuparci di cose serie: il mondo sta esplodendo», è il de profundis di Renzi.

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