Quel cortocircuito su Erba della stampa manettara

Dal Fatto a Repubblica, la sinistra corre in difesa dei giudici di Rosa-Olindo. "Errori? Fisiologici..."

Olindo Romano e Rosa Bazzi durante uno dei processi
Olindo Romano e Rosa Bazzi durante uno dei processi

La Cassazione dei bollettini delle Procure emette il suo verdetto: «Colpevoli». Marco Travaglio nel suo editoriale sul Fatto quotidiano di ieri dedica poche righe alla vicenda della Strage di Erba e liquida come inammissibile la richiesta di revisione avanzata a Brescia dal Pg milanese Cuno Tarfusser, sui cui peraltro la Procura generale di Milano deve ancora esprimersi, sebbene anche un eventuale diniego dei vertici - dice una fonte al Giornale - non potrebbe in alcun modo impedirne la trasmissione.

D'altronde, nel paradigma di Piercamillo Davigo «non ci sono innocenti, ma colpevoli che l'hanno fatta franca». Olindo Romano e Rosa Bazzi, all'ergastolo per la morte di quattro persone, lo sono «a prescindere», tanto è «illogica» secondo Selvaggia Lucarelli - giudice a latere della Travaglio-Cassazione, strappata temporaneamente alle fatiche di Ballando con le stelle - anche se certe prove sono «fragili» e la modalità con cui è stata raccolta la macchia di sangue «lascia dubbi». Per lei è più decisivo che Rosa sia «mancina» e che conoscesse «il colore degli accendini». Facile, per chi ha visto le foto della strage mentre confessava, come ha dovuto ammettere nella sua requisitoria il pm di Como Massimo Astori. D'altronde, scrive la Lucarelli tra una piroetta e un paso doble, «basterebbe trovare degli errori in ogni indagine e gli assassini sarebbero tutti innocenti». Infatti di errori giudiziari sono costellate le cancellerie dei tribunali, da noi i processi si fanno tardi e male, il ragionevole dubbio è il caposaldo del nostro sistema giudiziario, ma le tricoteuses assetate di ghigliottina non fanno una piega.

Il soccorso rosso ha chiamato in causa anche firme illustri di Repubblica e Corriere della Sera come Piero Colaprico e Giusi Fasano. Peccato che molte delle ipotesi a suffragio della solidità delle sentenze siano strampalate, superate, si reggano su mezze verità già smentite dalle nuove prove che i legali della coppia hanno portato all'attenzione di Tarfusser e presto alla Procura di Brescia, che dovrà pronunciarsi sull'eventuale riapertura. «Il processo non si tocca», è il mantra dei colpevolisti della prima ora, timorosi che sulla vicenda si riaccendano i riflettori e si disseppelliscano certe forzature giornalistiche, dalle docufiction ai filmati difensivi spacciati per confessioni, mandati in onda prima del processo, alla faccia della deontologia e del segreto delle indagini, per tacere delle intercettazioni sparite e delle prove distrutte. Assieme al castello accusatorio che ha retto nonostante «numerose aporie» il vaglio della Cassazione, potrebbero crollare anche teoriche «certezze» che molte testate hanno spacciato per granitiche, come i vestiti sporchi di sangue in lavatrice (balla), il silenzio a casa Romano-Bazzi su Frigerio e la strage prima che venissero arrestati (altra balla), la suggestione che le confessioni fossero dettagliate (balla smentita anche dalla sentenza d'appello), il tutto mescolato con lo stantio mantra «solo chi ha compiuto la strage conosceva i dettagli», visto che i due coniugi avrebbero cannato al 70%, con un «non so, non ricordo» ogni 30 secondi, dicono i legali, la scena del crimine.

Anche la politica si sta interessando alla vicenda, con almeno due interrogazioni parlamentari in lavorazione: sia per i cascami che si annunciano al Csm dopo il dossier choc confezionato da Tarfusser e pieno di rilievi per i colleghi magistrati e per gli inquirenti, sia per un aspetto più squisitamente elettorale, che riguarda il circuito mediatico-giudiziario.

Se venisse fuori che una mattanza del genere è stata erroneamente attribuita a due innocenti grazie a false prove e a un'opinione pubblica manipolata, chi reclama a gran voce la riforma del sistema giudiziario non troverebbe più alcun ostacolo oltre alle burrose barricate dei bollettini delle toghe.

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