Tecnica collaudatissima dalla politica italiana del passato, inutilmente barocca e complessa. Trasformare la realtà nella sua rappresentazione; perché come si racconta un fatto conta più del fatto stesso. Se poi una versione viene riprodotta più volte diventa necessariamente quella vera.
Ed è così che negli ultimi due giorni, all'apice della più grave crisi politica attraversata dal Partito democratico da quando è segretario del partito, Matteo Renzi è passato alle cronache (per la storia il giudizio è sospeso) come il vero vincitore.
Le montagne russe democratiche che hanno portato alle dimissioni parziali di Ignazio Marino non hanno intaccato l'immagine del premier rottamatore. Se fino a pochi giorni fa Renzi era quello che voleva evitare a tutti i costi le elezioni amministrative anticipate a Roma e cercava di convincere il sindaco a rimanere sulla sua poltrona, negli ultimi giorni si è trasformato in quello che ha tolto la città dall'impiccio di un sindaco inadeguato e ormai «indifendibile». Poi anche nel regista del dopo Marino, che rimetterà sui giusti binari Roma e anche la sinistra nazionale, grazie alla rinuncia alle primarie.
Renzi, titolava ieri un retroscena del Messaggero , «vuole nove commissari per Roma». Da Palazzo Chigi, raccontano tutte le ricostruzioni dei principali quotidiani, si sta studiando una squadra tecnica che traghetti la Capitale alle nuove elezioni. Il più tardi possibile, per metabolizzare la batosta.
A parti invertite, con un sindaco e un premier di centrodestra, le stesse mosse sarebbero state interpretate come un golpe. E invece no. Repubblica ha interpretato il tutto come «L'operazione rimonta del Pd». Anche se le soluzioni più probabili siano anche quelle meno in stile Renzi. Come l'ipotesi Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri, candidato sindaco. Un tentativo di rievocare Francesco Rutelli, esponente della vecchia sinistra, ma anche l'unico sindaco contemporaneo rimpianto dai romani.
A leggere i giornali, ad esempio il quotidiano torinese La Stampa , anche l'altra notizia politica del giorno, il funerale delle primarie officiato dallo stesso Renzi, sembra una decisione strategica e inevitabile. Quasi coerente, se non fosse che il rottamatore è diventato premier grazie alle primarie.
Capacità comunicative straordinarie, sicuramente. Ma anche un'operazione che sa di antico, soprattutto a Roma. Proverbiale la capacità di Walter Veltroni, ex leader Pd ed ex sindaco della Capitale, di imporre una narrazione tutta a suo favore. Renzi non ha inventato niente da questo punto di vista.
Viene quasi il sospetto che tutta la vicenda di Marino (il crescendo di accuse, il commissariamento, le dimissioni inevitabili, il lavorio per preparare il dopo) sia la nuova puntata di un film che la sinistra italiana ripropone da 40 anni. Fare pagare al Paese, quindi ai cittadini, le beghe interne al partito. In passato è stata la competizione tra Massimo D'Alema, lo stesso Veltroni e Romano Prodi a condizionare la vita del Paese.
Il dato politico, lo scontro tra leader, è quello che conta. Il governo del paese è una variabile dipendente. Allo stesso modo, il disastro in cui versa Roma da più di dieci anni, è un aspetto secondario. Quello che preoccupa il Pd sono le primarie e i candidati alla poltrona.
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