Così Milano si salva dal contagio globale "Meglio di New York Londra e Madrid"

Studio San Raffaele confronta la Lombardia con sei aree metropolitane: "No eccessi di mortalità"

Così Milano si salva  dal contagio globale "Meglio di New York Londra e Madrid"

Nel mese di marzo, quando la tempesta virale ha imperversato con più violenza, si sono contati più morti a New York, Madrid e Bruxelles, che a Milano e nell'intera Lombardia. Regione che si posizione nella media subito sopra Parigi e Londra. Lo studio è in corso di pubblicazione ed è stato condotto dai ricercatori di Igiene e sanità pubblica dell'Università Vita-Salute San Raffaele, nell'ambito di un progetto europeo Horizon 2020 su COVID-19.

Nel documento si analizzano la diffusione dell'epidemia in sei ambiti metropolitani che circondano grandi agglomerati urbani. Le aree hanno in comune consolidati scambi con la Cina e presentano caratteristiche simili per demografia, attività commerciali e grandi spostamenti di persone: si tratta dell'area metropolitana di New York (8,6 milioni di abitanti), la regione di Parigi, l'Île-de-France (12,3 milioni), la Greater London (9,3 milioni), l'area di Bruxelles-Capital (1,2 milioni), la Comunidad autonoma di Madrid (6,6 milioni) e la Lombardia (10 milioni). Su queste aree, i tassi cumulativi di mortalità più alti a 30 giorni dall'inizio dell'epidemia, sono stati registrati nelle aree di New York (81,2 x 100.000), Madrid (77,1 x 100.000) Bruxelles (48.6). La Lombardia con (41,4 per 100.000) è sotto la media seguita da Parigi (26,9x 100.000) e Londra (23 x100.000) ed è l'unico caso in cui la metropoli capoluogo (Milano) non sia stata investita massicciamente dall'onda epidemica. «Il nostro lavoro evidenzia come si sia imposto un falso mito che attribuisce alla Lombardia un eccesso di mortalità da Covid-19 - spiega Carlo Signorelli, ordinario di Igiene e Salute Pubblica presso l'Università Vita-Salute San Raffaele -. Le due realtà metropolitane dove finora l'epidemia si è diffusa maggiormente sono state New York e Madrid mentre la Regione Lombardia prima area occidentale colpita e quindi potenzialmente meno preparata ha mostrato dati di mortalità sì alti in termini di casi (oltre 10.000), ma inferiori, in proporzione alla popolazione residente, a tre delle sei altre aree considerate e con un tasso di mortalità cumulativa al 30° giorno inferiore rispetto alla città metropolitana di New York e alla Comunidad Autonoma di Madrid e alla provincia metropolitana di Bruxelles».

Ma cos'ha difeso Milano nel mese di marzo dall'essere travolta? «Due possono essere stati i fattori spiega Signorelli - da un lato l'efficacia e il tempismo del lock down che hanno ridotto gli assembramenti e quindi il rischio di contagio; dall'altro l'efficacia e la sicurezza delle cure erogate dalle strutture ospedaliere che hanno ricoverato i pazienti covid». Una situazione in controtendenza. In tutto il mondo, infatti gli ospedali sono stati i maggiori propulsori di questa epidemia ma nell'area milanese gli ospedali non hanno svolto la funzione di moltiplicatore di casi come invece è accaduto in realtà ospedaliere di piccole dimensioni e a bassa densità di cura.

In sostanza a Milano in ospedale non si è verificato alcun focolaio nonostante, tra ospedali pubblici e privati convenzionati, siano transitati migliaia di malati di Covid, a differenza di quanto è avvenuto nell'hinterland o nella bergamasca o nel bresciano.

«In Lombardia e nella Greater London e in parte anche a Parigi aggiunge l'esperto - realtà con sistemi sanitari a base pubblica e dove le autorità sanitarie hanno sottoscritto rapidamente accordi formali con le strutture ospedaliere private per far fronte all'aumentata richiesta di assistenza, l'abbassamento e la dilazione della curva epidemica sono state più favorevoli». 3337150209

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