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Così saremo in balìa di Pechino

Così saremo in balìa di Pechino

Prima di diventare una «star», come protagonista di molte imitazioni di Crozza, pochi conoscevano Alberto Forchielli, mezzo romagnolo (di Imola) e mezzo bolognese ma, al di là delle sue battute, è davvero uno dei più grandi conoscitori del pianeta cinese. Ha lavorato tantissimi anni tra Shanghai e Pechino (con qualche intervallo negli Stati Uniti, a Boston) e anche ieri l'ho raggiunto telefonicamente mentre era a Hong- Kong. Quando gli chiedi, lui che è stato un grande sponsor del «made in China», cosa pensa davvero della possibile adesione dell'Italia alla nuova «via della Seta», che potrebbe formalizzarsi a fine marzo in occasione della visita del presidente Xi Jinping a Roma, non usa certo mezze misure: «Ha ragione l'Europa ad essere molto preoccupata perché si tratta di una circonvenzione d'incapaci e gli incapaci siamo noi».

O meglio, chi ci governa. In verità, Forchielli, per spiegare la fregatura che incombe sul Belpaese, ha usato un termine ancora più forte: meglio glissare. Ma come, gli chiedo, se persino gli Stati Uniti di Trump, che pure sono preoccupati per la posizione assunta adesso da Roma, stanno trattando per sottoscrivere un accordo commerciale con Pechino, perché, allora, solo per noi la Cina non è vicina? L'esperto d'Estremo Oriente non ha dubbi: «Il motivo è molto semplice: con la via della Seta saranno costruite diverse grandi opere infrastrutturali, ma a prezzi cinesi che non sono proprio convenienti per le nostre aziende. Diverse imprese tricolori potrebbero, quindi, rischiare di chiudere la «partnership» in perdita e l'operazione finirebbe in rosso anche per quelle banche di casa nostra che avranno accordato i finanziamenti.

È un conto, poi, andare direttamente in Cina, è un altro paio di maniche cimentarsi con opere ferroviarie (altro che Tav!) in Paesi asiatici di serie B con un possibile mancato pagamento da parte di qualche Stato. Per non parlare del rischio di colonizzazione cinese che qualcuno paventa a Bruxelles, a cominciare dal settore marittimo: è il caso dei porti di Genova e Trieste che stanno concludendo accordi con «partner» di Pechino. Già nel 2017 il presidente della Ue, Antonio Tajani, si era impegnato a Strasburgo (relatore del provvedimento: Salvatore Cicu, Ppe-Forza Italia) per varare misure anti-dumping contro l'invasione dall'Oriente ma il «pericolo giallo» continua ad incombere.

Sarà solo una sindrome cinese? Forchielli dice di no.

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