Cronache

Dalla crisi di Suez alla guerra del Kippur: i nostri inverni al freddo e in bolletta

Bar e insegne chiuse entro mezzanotte. Il costo del carburante che sale. Alla canna del gas ci siamo già stati. E chissà che...

Dalla crisi di Suez alla guerra del Kippur: i nostri  inverni al freddo e in bolletta

Siamo alla canna del gas. Letteralmente, stavolta. Un tempo si diceva così per significare che di fronte a un disastro incombente non c'erano in vista altre soluzioni. Se non quella «finale», appunto, da praticarsi magari in modo non cruento, nell'intimità della quiete domestica. Prima di attaccarsi alla canna del gas ci si metteva, o meglio ci si ritrovava, metaforicamente, «in brache di tela». Che è per l'appunto la fase in cui ci troviamo ora. Quella successiva è rappresentata dalla minaccia, pendente sul coppino di noi tutti, di un raddoppio della bolletta che dopo l'ultima ondata di gelo, le settimane passate, era rimbalzata a livelli da paranoia. E già si indovinano sindaci e prefetti pronti a firmare «grida» tese ad abbassare la temperatura dei termosifoni nelle abitazioni e fianco negli ospedali. Il vecchio, sterile tentativo, rimasto ampiamente disatteso nelle passate, molte stagioni, di ridurre i consumi e la relativa dipendenza da quanti Russia e Nordafrica a braccetto - ci tengono col coltello alla gola.

Ci siamo già stati, ve lo ricorderete, alla canna del gas. E siccome siamo sempre sopravvissuti, cavandocela egregiamente, c'è da sperare che, alla fine, anche stavolta la sfangheremo, respingendo i «fantasmi del 73» che incombono sui nostri cieli e le nostre caldaie. Il primo, grande spavento energetico lo affrontammo sessantun anni fa, nel '56, con la crisi di Suez. Fu quando l'Arabia Saudita, che all'epoca giocava il ruolo dell'asso pigliatutto nel campo petrolifero, dichiarò l'embargo sulle esportazioni a Francia e Regno Unito, mentre il governo siriano tagliò l'oleodotto che trasportava il petrolio iracheno verso il Mediterraneo. Ma di quel vecchio spavento, durato lo spazio d'un mattino, chi si ricorda più?

Al dramma vero, che noi italiani volgemmo in commedia, tingendola di qualche venatura comica, con certuni che avevano riscoperto i pattini, il calesse e la bicicletta, visto che c'era molto da pedalare, arrivammo nel 1973, dopo la guerra del Kippur tra arabi e israeliani. Il fronte arabo musulmano diede una bella stretta ai rubinetti del petrolio, innescando un vertiginoso aumento dei prezzi. Noi reagimmo varando una locuzione quaresimale che da allora non ci ha più abbandonati, stagione dopo stagione: il «risparmio energetico». E a fargli da corollario, l'austerity, detto così, all'inglese.

È finita che ci siamo abituati, all'alto costo dei carburanti. E ci siamo assuefatti, come i fumatori alle sigarette che ora costano 25 centesimi l'una, quando va bene! Fu dura, per chi veniva dal boom e dalla spensieratezza degli anni Sessanta. L'illuminazione pubblica ridotta del 40 per cento. Bar e ristoranti (a insegne spente) chiusi entro la mezzanotte. La velocità delle auto ridotta. I consumi in calo. E la sera a letto presto. Farà più fresco nelle case? Poco male. Le nonne e le mamme tireranno fuori i ferri da calza. E chissà che la penuria energetica non inneschi un insperato boom demografico, riportando in voga quel magnifico, insuperato e molto ecologico modo di scaldarsi in coppia.

Con tanti saluti a chi ci vorrebbe alla canna del gas.

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