Crocifisso, la Chiesa tace sulla sparata del sindaco

La curia di Bologna non replica alle farneticazioni di Merola sul simbolo

Crocifisso, la Chiesa tace sulla sparata del sindaco

Il crocifisso è medievale, ma alla mezzaluna non si può dire di no. E pazienza se le leggi prescrivono altro. Non poteva passare in cavalleria la reazione del sindaco Pd di Bologna Virginio Merola che ha bollato come «medievale» la proposta di Ilaria Giorgetti, presidente forzista del Quartiere Santo Stefano, che ha invitato le scuole ad esporre il crocifisso nelle aule come segno di reazione, e di solidarietà, alla furia jihadista che sta attraversando l'Europa.Il sindaco aveva spiazzato l'opposizione, lasciandola senza parole. Eppure il crocifisso nelle scuole non è vietato, ma ad essere vietate dai regolamenti urbanistici comunali sono le tante moschee non regolari che non hanno il riconoscimento urbanistico di luogo di culto. Succede in moltissime città emiliane e la cosa è stata rispolverata negli ultimi giorni anche dal consigliere regionale di Fratelli d'Italia Galeazzo Bignami, che ne ha chiesto una regolarizzazione definitiva, stringendo di fatto le maglie al proliferare di luoghi di culto irregolari.«Eppure è grazie al crocifisso che concetti come libertà e uguaglianza si sono radicati nella civiltà europea e nella nostra Bologna ha detto Valentina Castaldini, esponente Ncd in Consiglio comunale a Bologna». Secondo la maggioranza delle opposizioni a Palazzo d'Accursio questa è stata la conseguenza di un laicismo che ha portato a non riconoscere le radici cristiane d'Europa.Anche la Lega Nord è sulle barricate. «Non è una provocazione appendere un crocifisso. Il crocifisso c'è sempre stato ed è giusto che ci sia», ha affermato la capogruppo Lucia Borgonzoni, ricordando di essersi spesa in prima persona, qualche anno fa, «proprio perché il crocifisso non venisse tolto dalle scuole, anche se so che da certi plessi è stato tolto». Ma il Carroccio va oltre il gesto simbolico del crocifisso negato: «Merola si dovrebbe preoccupare di controllare le 13 moschee presenti in città, più che intervenire come censore della legittima richiesta che il crocifisso sia esposto nelle aule. L'altro ieri, alla cerimonia di commemorazione delle vittime di Parigi, della comunità islamica bolognese era presente solo un portavoce di 7 moschee. E le altre? E gli imam di quelle moschee che lui rappresenterebbe?».L'interrogativo nella rossa Emilia ha infatti un senso. Grazie alla legge regionale 34 del 2002 le associazioni islamiche possono esercitare le loro attività di culto mascherandola da attività culturale. Questo ha portato al proliferare di moschee non riconosciute e non regolari secondo le normative urbanistiche. Ma ad oggi né i comuni, né la Regione hanno sanato questo vulnus che consente a moltissime associazioni di poter esercitare il culto anche nei casi in cui, ed è successo a Reggio Emilia ad esempio, il Comune abbia vinto al Consiglio di Stato la battaglia su un capannone adibito abusivamente a moschea. Eppure si fa finta di nulla, perché in fondo nel nome del dialogo a tutti i costi si perdonano tante cose. Anche le irregolarità. E non aiuta, visto il silenzio della curia su questa vicenda, il recente avvicendamento in via Altabella, dove il 12 dicembre farà il suo ingresso il nuovo arcivescovo Matteo Maria Zuppi, proveniente dalla Comunità di Sant'Egidio, che prenderà il posto di Carlo Caffarra.

Un cambio al vertice che per alcuni ambienti cattolici e non solo, è stato visto come un ammorbidimento su questi temi dato che la Sant'Egidio è in prima fila sulle tematiche del dialogo spinto e incondizionato. Una fase di interregno che ha visto la curia bolognese non esporsi su una vicenda che in altri tempi avrebbe fatto tuonare tanto Caffarra quanto il suo predecessore Biffi.

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