Fu il pestaggio a provocare la caduta di Stefano Cucchi, la frattura di due vertebre e la sua morte. Ieri lo ha ribadito con forza, nell'aula bunker di Rebibbia, il pm Giovanni Musarò durante la requisitoria per il processo a 5 carabinieri, accusati a vario titolo di omicidio preterintenzionale, falso e calunnia per il caso del geometra romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 per droga e deceduto una settimana dopo al Pertini di Roma.
Davanti al Procuratore facente funzioni di Roma, Michele Prestipino, Musarò ha parlato di «processo kafkiano» riferendosi al primo, che ha visto imputati i medici dell'ospedale Sandro Pertini e, per il pestaggio, tre agenti penitenziari poi assolti. «Tutto quel processo con imputati messi a posto dei testimoni, catetere messo per comodità e fratture non viste dai medici è stato frutto di un depistaggio», ha sottolineato. Sul banco degli imputati compaiono ora Francesco Tedesco, il supertestimone che ha rivelato che il 31enne venne «pestato» da due colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro, accusati come lui di omicidio preterintenzionale. Tedesco risponde anche di falso e calunnia con il maresciallo Roberto Mandolini, all'epoca a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l'arresto, mentre della sola calunnia (nei confronti di agenti della polizia penitenziaria) risponde il militare Vincenzo Nicolardi.
Altri 8 militari andranno a processo per presunti depistaggi a novembre. «Stefano Cucchi fu vittima di un pestaggio violento e repentino, roba da teppisti da stadio - ha tuonato il pm -. Di Bernardo e D'Alessandro, autori di un'aggressione così vile, se la sono presa con una persona di appena 40 kg, che consideravano un drogato». E giunge alla ricostruzione. «Cucchi, che aveva rifiutato il fotosegnalamento, comincia a battibeccare con Di Bernardo che gli molla uno schiaffo: barcolla indietro - dice -. D'Alessandro gli dà un calcio e Cucchi va in avanti. Poi arriva una violenta spinta e il ragazzo cade indietro, sbattendo a terra sedere e nuca e viene colpito con un calcio in faccia che gli provoca una frattura della base cranica». «A quel punto, Francesco Tedesco, il terzo carabiniere che assiste alla scena - prosegue - interviene, blocca i colleghi, evita che a Cucchi arrivi un altro calcio, aiuta il ragazzo a tirarsi su e avverte subito il maresciallo Mandolini».
Ma Cucchi finì in carcere proprio perché Mandolini nel verbale di arresto scrisse che era un senza fissa dimora, quando invece era residente dai genitori. «Senza quella dicitura forse sarebbe finito ai domiciliari e oggi non saremmo qui in questo processo - dice il pm, ricordando che la vittima dopo le botte perse 6 chili in 6 giorni -. Non mangiava per il dolore».
Musarò evidenzia infine che Tedesco ha rotto il muro di omertà, ma le prove dell'accaduto sono già tutte nel fascicolo. «Mi piacerebbe che Stefano potesse aver sentito le parole del pm, penso che oggi sarebbe felice - ha commentato commossa la sorella Ilaria -. Lo Stato è con noi».
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