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Dagli attacchi hacker alla privacy violata: ecco le falle (e i trucchi) di Rousseau

La bandiera della finta democrazia grillina ha fatto cilecca più di una volta I casi più clamorosi: le primarie di Genova e il voto infinito per Di Maio capo

Dagli attacchi hacker alla privacy violata: ecco le falle (e i trucchi) di Rousseau

Dalla democrazia diretta sono passati alla democrazia creativa. Per confondere gli iscritti che da oggi saranno chiamati a decidere sull'autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, i politologi del M5s hanno stravolto il quesito: per dire «no» bisogna dire «sì» e per dire «si» bisogna dire «no».

Spaventato dal possibile risultato, il M5s si è dunque affidato anche agli azzeccagarbugli e non più soltanto agli ingegneri informatici di Davide Casaleggio. Sono infatti passati sette anni da quando si è iniziato a votare sul blog di Beppe Grillo e degli sconosciuti hanno iniziato a scalare il cielo della politica. Il 18 settembre 2012, si aprivano le iscrizioni e si sceglievano i candidati. Con meno di 189 preferenze venne indicato Luigi Di Maio; con 313 Alessandro Di Battista; e ne bastarono solo 144 per lanciare Danilo Toninelli. Utilizzata per incoronare, la democrazia diretta è presto però servita per espellere. Il senatore Marino Mastrangeli venne cacciato con l'88,8% dei voti e con la bolla finale di Grillo, («Hanno votato 19.341 su 48.292 aventi diritto»). E c'era ancora Gianroberto Casaleggio quando, ma fu l'unica eccezione, la democrazia digitale prese di sorpresa il suo stesso genitore. Il 13 giugno del 2014 viene chiesto agli iscritti di pronunciarsi sull'abolizione del reato di immigrazione clandestina. Sconfessando sia Grillo che Casaleggio, che erano per il mantenimento del reato, la base vota per l'abolizione. A Casaleggio quel voto servì per dire: «Vedete, non controlliamo nulla». In realtà, fu la spia per cambiare tutto. Da allora le votazioni non tengono più conto del quorum. Per proteggere Grillo da cause legali, nell'ottobre 2016 si vota la modifica del non statuto ma non si supera il quorum del 75 per cento, clausola necessaria per modificare le regole di un'associazione. Si va avanti ugualmente. Del resto per Grillo il quorum non è altro che «un modo per fottere il cittadino». Nel sistema elettorale del M5s se non piace come vota il popolo non si cambia il popolo ma lo si esautora. Con un colpo di mano nel marzo del 2017, il leader annulla le primarie di Genova che avevano designato Marika Cassimatis candidato sindaco. Lo fa per diritto divino: «Fidatevi di me». Nel frattempo, i seggi del M5s traslocano nei server dell'associazione Rousseau presieduta da Casaleggio. E vengono sabotati. Attacchi hacker si susseguono fino al più clamoroso. L'hacker Rogue_0 pubblica online i numeri di cellulari dei leader e maramaldeggia sull'obsolescenza della piattaforma. Prima ancora, il garante della Privacy stabilisce che la sicurezza degli iscritti non è garantita. Ma il nodo rimane un altro: chi apre le urne di Rousseau? La risposta è: Casaleggio, che si serve di due notai ma scelti sempre da Casaleggio. In un'intervista gli venne chiesto se questo metodo fosse al di sopra di ogni sospetto e la sua risposta fu: «In futuro, a validare le votazioni, basterà il sistema di blockchain».

Intanto nel presente c'è un altro singolare caso di sperimentazione: la democrazia diluita. Nella vita reale le votazioni si svolgono in un giorno o in due, ma nella piattaforma Rousseau si prorogano per ore. Come il 21 settembre del 2017 quando si doveva eleggere Di Maio capo politico. La ragione? «Grande affluenza». In alcuni casi sterminata. Per «bollinare» l'alleanza di governo con la Lega, votò addirittura il 94 per cento.

E qui, torna alla memoria il plebiscito de Il Gattopardo dove anche i «no» diventarono «sì», al punto da far dire a uno dei personaggi: «Inghiottono la mia opinione, la masticano trasformata come vogliono loro».

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