I toni baldanzosi, talvolta quasi trionfalistici, spesso usati da Matteo Renzi all'entrata e all'uscita dai vertici europei possono indurre qualcuno a pensare che, con il suo governo, l'Italia stia riacquistando peso nelle istituzioni europee e che abbiamo maggiori possibilità di affermarvi le nostre istanze. Purtroppo, se guardiamo al di là delle dichiarazioni, non è proprio così. O i problemi che ci stanno veramente a cuore, come quelli di una politica europea dell'immigrazione e della sorte dei marò, vengono rinviati o accantonati, o sulle questioni di fondo oggi all'ordine del giorno dell'Unione, come gli stimoli alla crescita o i rapporti con Mosca, veniamo messi in minoranza e dobbiamo sottostare al potere della Germania e dei suoi alleati.
Questo non significa che non dobbiamo continuare a batterci al meglio delle nostre forze in difesa dei nostri interessi, ma esige che guardiamo alla situazione con maggiore realismo, prendendo atto che i successi conclamati sono solo apparenti.
L'ultimo esempio è il modo con cui il vertice di ieri ha affrontato l'attentato del Bardo: «La Ue condanna il barbaro attacco e intensificherà la cooperazione con la Tunisia contro la comune minaccia terrorista e per sostenere il Paese nella democrazia, nell'economia e nella sicurezza sociale». Benissimo. Tuttavia, dal nostro punto di vista, non abbastanza. Per l'Italia, l'attentato è stato uno shock, nel senso che ha ulteriormente avvicinato la minaccia jihadista alle nostre frontiere, e ha reso vieppiù urgenti gli appelli all'Europa a prestare più attenzione al Mediterraneo in generale e alla Libia in particolare. Invece, nonostante la nostra offerta di guidare un'azione concreta, si continua a rinviare ogni decisione alla improbabile formazione di un governo di unità nazionale tra due fazioni che continuano a spararsi addosso a vicenda.
Alla vicenda libica è, naturalmente, legato a fil doppio quella dell'immigrazione, ma anche qui abbiamo spuntato ben poco: l'operazione Triton, che sotto la guida di Frontex avrebbe dovuto arginare il flusso dei migranti, si è rivelata men che evanescente, e anche ora che Mare Nostrum è stato (per fortuna) sospeso i boat people , in un modo o nell'altro, continuano a finire tutti da noi. Non a caso, nel 2014 il numero delle richieste d'asilo è passato da 50.000 a 123.000, e nel 2015 rischia di essere anche più alto, perché i nostri partner, invece di aiutarci, hanno reagito con durezza al nostro tentativo di aggirare gli accirdi di Dublino e indirizzare almeno una parte dei profughi verso i Paesi del nord. Speriamo che, con l'aumento del pericolo che nei barconi si infiltrino anche potenziali terroristi, l'Ue cambi gradualmente atteggiamento.
Per quanto riguarda gli altri punti, che cosa abbiamo ottenuto? Sulla crescita, la Germania ha attenuato, è vero, il suo rigore, ma il merito non è certo esclusivamente nostro e le specifiche richieste italiane di escludere alcuni capitoli di spesa dai conteggi del deficit sono rimaste in sospeso. Siamo il Paese che più ha sofferto, sul piano commerciale, del ping-pong di sanzioni tra Mosca e Bruxelles per il conflitto in Ucraina, e perciò abbiamo cercato di fare da ponte fra le parti (viaggio di Renzi a Kiev e Mosca, primo leader europeo a visitare Putin dopo i precari accordi di Minsk) e di reinserirci in un gioco condotto fino a quel momento solo da Merkel e Hollande. Ma, anche in questo caso, il massimo risultato ottenuto è che non si parli, per ora, di un ulteriore inasprimento del boicottaggio.
Infine, i marò. Si sperava che, dopo avere tanto brigato per ottenere il posto di «ministro degli esteri» per la Mogherini, la Ue si avvalesse infine del suo peso specifico per indurre l'India a un atteggiamento più cooperativo.
Invece, abbiamo avuto un altro rinvio, che non so neppure se Bruxelles abbia almeno deplorato. Insomma, un vero successo che è uno, per ora, non lo abbiamo portato a casa. Come dice la vecchia canzone, solo «Parole, parole, parole ».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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