Dall'odio alla "convergenza" Di Maio-Zingaretti già a cena

Primo incontro tra i leader per il governo. I dem: nulla di insormontabile. I 5 Stelle: non trattiamo con la Lega

Dall'odio alla "convergenza" Di Maio-Zingaretti già a cena

Nella frenetica altalena tra i due forni, ci sono le prime certezze. E intorno, un intenso lavorio sotterraneo per tentare di smontarle. Ma ieri, dopo due ore di confronto tra le delegazioni Pd nella sala Siani della Camera seguite da un faccia a faccia a cena tra Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, la nascita di un governo giallorosso ha fatto un deciso passo in avanti, fino al punto di discutere il nome del premier. Su questo però i 5s non cedono: sul Conte bis avrebbero dato un'ultimatum. Com'era prevedibile, nel confronto tra i cinque punti irrinunciabili del Pd e i dieci dei grillini, «non ci sono ostacoli insormontabili». Il commento è arrivato in fotocopia dal capogruppo M5s al Senato Stefano Patuanelli e dall'omologo renziano Andrea Marcucci.

I tempi delle trattative-show in streaming finite a insulti sono un lontano ricordo. «C'è stata ampia convergenza sull'agenda sociale e sui temi ambientali», ha sintetizzato Graziano Delrio, capogruppo Pd alla Camera, al termine del summit rigorosamente a porte chiuse. Più spigoloso Andrea Orlando, l'esponente zingarettiano mandato a sorvegliare i renziani. «Non c'è impercorribilità per quel che riguarda l'agenda delle riforme istituzionali», ha rassicurato, chiedendo però ai 5s «uscire dalle ambiguità».

Il riferimento è ovviamente alle profferte amorose della Lega. Salvini anche ieri ha ripetuto la sua proposta di dietrofront con in più la sedia da premier a Di Maio. Ci crede davvero? Di sicuro, il Carroccio sa che giocare il ruolo del diavolo tentatore è il miglior modo di frenare l'intesa Pd-M5s. I grillini non appaiono del tutto compatti nell'escludere nuove nozze con l'amante che li ha delusi. Ma soprattutto, usano la via d'uscita a destra per alzare la posta a sinistra.

Fonti parlamentari M5s fanno sapere che «la Lega ci corteggia insistentemente». Ancor più significativa l'uscita di Dibba, che ieri sui social ha applaudito l'offerta di Salvini «perché non mi dispiacerebbe un presidente del Consiglio del Movimento» e ha messo sul piatto la grana della trattativa anche la revoca delle concessioni autostradali. «La frattura con la Lega è insanabile - replica Carla Ruocco - Alessandro per primo dovrebbe saperlo visto che tra lui e Salvini volavano insulti fino all'altro giorno». La verità è che gli ostacoli all'accordo vengono soprattutto dalle divisioni nei due partiti. La maggioranza dei parlamentari dei due schieramenti si muove già da tempo sul sentiero dell'intesa. Ma quelli che preferirebbero il voto provano ad avvelenare i pozzi lungo la strada. Non solo Di Battista, c'è stato anche quello che Renzi ha definito lo «spin di Gentiloni», una velina che alzava il livello delle richieste del Pd. Non tutti ricordano però che, in tema di poltrone, l'intesa tra i due partiti è nata già il 3 luglio, ben prima della crisi evocata da Salvini e anche del voto per Ursula von der Leyen, quando l'M5s votò per il Pd David Sassoli presidente dell'Europarlamento e ottenne una vice presidenza per il suo deputato Fabio Massimo Castaldo, strappandola proprio a una leghista Mara Bizzotto. Che reagì con parole che oggi suonano profetiche: «I grillini hanno dato il via alle prove generali di quell'alleanza con il Pd, con la benedizione dei poteri forti Ue, che vorrebbero replicare anche a Roma. Tra pochi mesi ne vedremo delle belle». «Salvini si arrabbiò moltissimo», ricorda oggi l'eurodeputata veneta del Carroccio.

Neanche due mesi dopo, Pd e M5s hanno trovato la quadra perfino sulla questione del taglio dei parlamentari: accompagnarla con una nuova legge elettorale in senso proporzionale puro.

Resta lo scoglio del nome del premier, con il Pd che insiste sulla «discontinuità» e continua a mettere sul piatto nomi terzi (Cantone, Cartabia e ora Franco Bernabè) e Grillo che

ancora ieri insisteva sulle virtù di Conte che «non va scambiato come una figurina». Sembra il nodo più intricato da sciogliere ormai. Per paradosso, a farlo dovrà essere chi è più restio all'intesa: Di Maio e Zingaretti.

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