De Benedetti licenzia Renzi: "Così rischi la fine di Fassino"

L'avviso dell'Ingegnere lascia molti democrat sorpresi: "È il segnale che chi lo ha sostenuto lo sta mollando"

De Benedetti licenzia Renzi: "Così rischi la fine di Fassino"

Roma - La cannonata sparata della Tessera Numero Uno del Pd, al secolo Carlo De Benedetti, arriva a Varsavia, dove Matteo Renzi partecipa al vertice Nato.

L'editore di Repubblica dà il suo ultimatum al premier: o cambia l'Italicum, o io voto no alla pur «positiva» riforma costituzionale. Perché il «combinato disposto» delle due cose «consente a una minoranza anche modesta di prendersi tutto, dalla Camera al Quirinale ed è un pericolo che l'Italia non può correre», tanto meno in tempi di dilagante «populismo» incarnato dai grillini, dice De Benedetti. Il quale condisce l'avvertimento con una serie di critiche ma anche di elogi al capo del governo, che rappresenta «un cambiamento cinicamente violento ma assolutamente utile al Paese», che ha conquistato il governo «in modo assolutamente democratico» pur essendo «per fortuna diversissimo dai suoi predecessori», e tra loro De Benedetti include persino il mostro sacro Prodi, cui imputa «l'errore» dell'allargamento Ue ad Est. Ma se non cambia l'Italicum, Renzi «fa la fine di Fassino», stritolato al ballottaggio. E questo, lascia intendere l'Ingegnere, è un rischio che l'Italia non può correre. In casa Pd la cannonata, registrata con qualche sorpresa (anche se i rapporti tra Palazzo Chigi e il cotè Repubblica sono molto freddi già da qualche tempo, e addirittura gelidi da quella prima pagina del 1 luglio che sparava il sondaggio secondo cui con l'Italicum Di Maio batterebbe Renzi), viene letta in modi diversi. C'è chi ci vede «la conferma che anche ambienti che lo hanno sostenuto dalla prima ora si stiano defilando e lo isolino», come dice un dirigente parlamentare della minoranza. E chi invece, in casa renziana, ci legge in realtà un messaggio di pace, una «mano tesa»: «Il senso è: sei l'unico che può salvare il paese dalla deriva populista, ma se non cambi l'Italicum ti metti da solo in una trappola», ragionano.

Dalla Polonia, Renzi decide di replicare direttamente al messaggio: l'Italicum c'è, ed è una «buona» legge elettorale, che «funziona». Ma ovviamente il Parlamento è libero di cambiarla: «È nella sua disponibilità». Poi la frecciata sarcastica: «Certo, c'è il rischio che al ballottaggio possa vincere un'altra forza politica. Ma diciamo che è un rischio che sta nel gioco democratico». Quel che davvero fa imbufalire il premier è la logica del «combinato-disposto», come spiega ai suoi: «Ma che c'entra il voto sulla riforma costituzionale con l'Italicum, che è una legge ordinaria che il Parlamento può cambiare quando vuole? Se invece si affossa col no la riforma, e De Benedetti lo dovrebbe sapere, ci terremo il bicameralismo, le navette, il Cnel e 315 parlamentari in più per decenni, perché un'altra riforma chi la farà più?». Quanto alla legge elettorale, e al suggerimento debenedettiano di tornare al Mattarellum, Renzi coi suoi interlocutori si mostra scettico: «Non ci sono i numeri, né Fi né 5Stelle ci starebbero mai», e ricorda che «fu il Pd di Bersani ad affossare il tentativo di ripristinarlo, dando l'ordine di bocciare la mozione Giachetti che lo chiedeva».

Ma il premier si guarda bene dal dire «mai» alle ipotesi di modifica, un po' per tener buoni i cespugli centristi in cerca di salvezza e - molto - per lasciare una porta aperta all'unico interlocutore con cui si potrebbe, un domani, riaprire un dialogo sulla legge elettorale, e sul referendum costituzionale. Ossia Berlusconi.

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