La fine di ogni aiuto ai ribelli jihadisti annunciato da Donald Trump e la mannaia di Vladimir Putin stanno per realizzare il miracolo. Dopo cinque anni di guerra e 300mila vite il conflitto siriano è a una svolta. Una svolta per ora essenzialmente militare, ma capace di aprire la strada a una pace negoziale. Da ieri le truppe di Bashar Assad, appoggiate da miliziani di Hezbollah, pasdaran iraniani e aviazione russa controllano gran parte dell'antica cittadella di Aleppo. I ribelli jihadisti, con alla testa i miliziani di Al Nusra (la costola siriana di Al Qaida ribattezzata recentemente Jabhat Fateh al-Sham) invocano un cessate il fuoco e sembrano pronte a negoziare la resa.
Naturalmente la caduta di Aleppo Est, ormai all'80 per cento sotto controllo governativo dopo la riconquista ieri, dei quartieri di Aghiur e Bab al Hadid a nord della Cittadella, non rappresenta una svolta indolore. Per snidare i ribelli ci sono voluti cinque mesi di guerra segnati dai raid dell'aviazione russa contro le postazioni jihadiste annidate tra condomini e ospedali. Operazioni che hanno aggiunto l'apice negli ultimi dieci giorni quando, approfittando della transizione alla Casa Bianca, il Cremlino ha usato tutto il devastante potere della sua forza aerea. Grazie a quei dieci giorni di durissima offensiva - costata la vita a 341 persone, tra cui 44 bambini, sul fronte ribelle e di altre 81, tra cui 31 bambini, nei quartieri governativi - Damasco ha ripreso il controllo del 75 per cento di Aleppo. Nel frattempo oltre 30mila civili sono fuggiti dalle zone ribelli sfruttando i «corridoi umanitari» lasciati aperti dal governo. Ma a decidere +la battaglia di Aleppo non è stata soltanto la forza militare.
La débâcle ribelle è anche il frutto dell'intensa pressione esercitata da Mosca su quella Turchia di Recep Tayyp Erdogan che dal 2011 a oggi non ha mai abdicato al ruolo di «madrina» dei ribelli e di grande distributrice delle armi pagate da Arabia Saudita e Qatar. Negli ultimi due mesi, però, tutto è cambiato. Mosca e Damasco hanno concesso all'esercito turco di operare contro le fazioni curde presenti nei territori settentrionali della Siria ottenendo in cambio il taglio degli aiuti ai ribelli arroccati ad Aleppo. Da allora il flusso di denaro, armi e munizioni tracimato per oltre cinque anni dal confine turco si è improvvisamente arrestato. E ai miliziani abbandonati al proprio destino da Erdogan è rimasta solo l'inutile solidarietà di un Obama a fine mandato e dei suoi obbedienti alleati occidentali. E tra i fine mandato anche l'esecutivo di Matteo Renzi accodatosi ieri all'appello di Stati Uniti, Canada, Francia, Inghilterra e Germania in cui si sottolinea «l'urgente necessità di un cessate il fuoco immediato, per permettere all'Onu di portare assistenza umanitaria alla popolazione di Aleppo Est e fornire soccorsi ai fuggiaschi». Un appello inutile quanto le altre fallimentari iniziative di pace lanciate da Onu e Occidente in questi cinque anni.
Il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha, infatti, già promesso la «distruzione» dei miliziani che non abbandoneranno Aleppo Est. E i ribelli, ben consapevoli di come il passaggio di consegne alla Casa Bianca segni la fine di ogni appoggio americano, hanno già accettato la mediazione turca per trattare con Mosca e Damasco. La definitiva resa e i piani per un trasferimento degli ultimi ribelli di Aleppo Est potrebbero venire discussi durante l'incontro di Lavrov con il segretario di Stato americano John Kerry previsto quest'oggi ad Amburgo.
Il passo successivo potrebbe essere un negoziato di pace condotto dalla Casa Bianca e dal Cremlino dopo l'insediamento di Trump. Un negoziato capace di aprire la strada non solo alla «pax siriana», ma anche ai nuovi rapporti tra l'America di Donald e la Russia di Vladimir.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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