Da delfino a tonno, la catastrofe di Gianfry che ancora sognava la "rentrée" in politica

Fini puntava a riciclarsi come "allenatore di una destra anti-sovranista"

Da delfino a tonno, la catastrofe di Gianfry che ancora sognava la "rentrée" in politica

Roma - Da delfino a tonno, da leader del futuro a imputato prossimo venturo. Chi ha visto Gianfranco Fini? Pochi, a parte i parenti, gli avvocati e la procura di Roma. Solo qualche anno era il presidente della Camera, la terza carica della Repubblica, il quasi giovane politico pronto al gran balzo verso Palazzo Chigi dopo aver raccolto l'eredità del Cavaliere. Oggi è un signor nessuno. Le sue truppe sono emigrate altrove, l'indice di gradimento è precipitato e i suoi rari interventi pubblici si svolgono in un imbarazzato deserto.

E adesso pure il riciclaggio, che certo non è un'accusa da poco: povero Gianfry, verrebbe da dire, il destino si accanisce. Non bastavano gli errori politici a ripetizione, la capacità di fare sempre la mossa sbagliata nel momento sbagliato, l'isolamento e il tracollo, ora ci si mette anche il rinvio a giudizio. Perché, come insegna l'infallibile legge di Murphy, «se una cosa può andare male, stai sicuro che andrà peggio»

Ma al di là della casa di Montecarlo e delle connesse vicende giudiziarie, sulle quali bisognerà aspettare le sentenze dei tribunali, è dal punto di vista politico che la vita di Fini ha subito un tracollo verticale. Dalla lite con Berlusconi e la nascita di Fli, non ne più azzeccata una. E così l'uomo che aveva sdoganato la destra post-fascista creando Alleanza Nazionale e portandola al governo, ha avuto la pessima idea nel 2013 di virare al centro e presentarsi con Mario Monti, che dopo aver dissanguato gli italiani non era proprio al massimo della popolarità. Il previsto flop del Professore ha trascinato nel gorgo pure Gianfry, che da allora non si è più ripreso.

Da quel momento, complici anche i risvolti giudiziari e le attività dei Tulliano's, Fini è diventato via via un personaggio sempre più marginale sulla scena politica del Belpaese, fino a sparire. Lui ogni tanto a risalire ci ha pure provato, con pessimi risultati. Comizi per pochi intimi, sedie vuote, bandiere ammosciate. Qualche mese fa, subito dopo la notizia dell'indagine per riciclaggio e la richiesta di arresto per il cognato Giancarlo Tulliani, Fini trovò persino il coraggio di farsi vedere in Parlamento per le solenni celebrazioni dei sessant'anni dei Trattati di Roma sull'Europa. «Che faccia di bronzo - commentò feroce il suo ex compagno di partito Maurizio Gasparri - Chissà, forse ha scambiato Montecitorio per Montecarlo».

Pochi mesi dopo spuntò in un servizio fotografico su Oggi, sorridente al ristorante assieme alla famiglia. Negli ultimi tempi, nonostante l'inchiesta, stava preparando il grande ritorno per fare «l'allenatore di una nuova destra anti-Le Pen e governativa». In questa prospettiva, un mese e mezzo fa si era fatto intervistare dal direttore di Radio Cusano Campus, Gianluca Fabi, e aveva preso di petto il nuovo premier Giuseppe Conte: «Quando si parla di Russia non bisogna scherzare, non bisogna buttarla lì per vedere l'effetto che fa.

Bisogna sempre ricordarsi che la Russia è una grande potenza che non ha mai conosciuto una democrazia analoga a quelle occidentali. Oggi c'è la democrazia autoritaria di Putin, prima c'era il comunismo staliniano e brezneviano e prima ancora c'era lo zar». Insomma, caro Conte, non ti fidare di Mosca e dai retta a uno che di politica se intende.

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