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Democratici nel caos: dimissioni di massa per abbattere il ribelle

Diciannove consiglieri dem sono pronti a mollare con sei esponenti di liste minori. A quota 25 il sindaco va a casa

Democratici nel caos: dimissioni di massa per abbattere il ribelle

Roma - Caos, imbarazzi e il timore di una figuraccia finale di proporzioni bibliche. In grado di trascinare giù, insieme al sindaco resistente Ignazio Marino, tutto il Partito democratico. Quello cittadino di sicuro, quello nazionale forse.

La rinuncia del sindaco di Roma alle dimissioni, per quanto prevedibile, ha fatto esplodere più di una contraddizione tra i democratici. La strategia decisa dal commissario cittadino Matteo Orfini è rimasta la stessa dei giorni scorsi. Dimissioni in massa dei consiglieri comunali, in modo da sciogliere il consiglio e fare automaticamente decadere il primo cittadino.

La moral suasion di Orfini è culminata ieri in un incontro con i consiglieri alla sede nazionale del Pd a Largo del Nazareno. Un modo per dire ai democratici romani che le dimissioni sono un ordine più che una richiesta. Ragioni di forza maggiore e input che arriva direttamente dal premier e segretario del partito Matteo Renzi.

Per tutta la giornata di ieri né Orfini né altri erano riusciti a sciogliere il principale nodo. I 19 consiglieri Pd non bastano. Per fare chiudere la legislatura del consiglio comunale romano ne servono 25. Quindi persino tra i convocati al Nazareno (la cui rielezione dipende dalle scelte del partito) ieri c'era chi avanzava dubbi su aspetti fondamentali della exit strategy e considerava «inaccettabile» cercare eletti disponibili alle dimissioni tra i consiglieri delle opposizioni. Che, dal canto loro, non hanno nessun interesse né voglia di evitare al Pd una figuraccia.

La speranza di alcuni nel Pd era l'adesione spontanea degli eletti del Movimento 5 stelle, in nome della comune avversione al sindaco. Ieri non avevano ancora preso una posizione ufficiale. Essendo radicalmente contro il sindaco in carica, non escludevano le dimissioni, ma le consideravano solo una ultima ratio e preferivano la sfiducia in Aula. Per il Pd sarebbe stata una gogna. I democratici romani, con una crisi portata nella sala Giulio Cesare, sarebbero costretti a ufficializzare il fallimento della giunta e le divisioni nel partito. Meglio la caccia ai consiglieri disposti alle dimissioni. Che ieri è stata la principale occupazione di Orfini e i suoi.

In serata le indiscrezioni davano per chiuso un accordo. Oltre ai 19 consiglieri Pd più altri sei pescati dalle liste minori. Figuraccia scampata. Non il caos nel Pd e dintorni.

La sinistra Pd ha preso di fatto le difese del sindaco in uscita. Gianni Cuperlo, ha chiesto un «confronto in sede pubblica», sul caso Roma. Ma anche perché «per interrompere una sindacatura votata da 600mila cittadini debbono sussistere ragioni solide e politicamente insuperabili». Paolo Cento, per Sel, annuncia battaglia: «Marino venga in Consiglio e spieghi le ragioni per cui ha ritirato le dimissioni. I consiglieri di Sel non si dimettono».

Anche Stefano Fassina, ex leader della sinistra Pd oggi parlamentare del gruppo misto, vorrebbe che la crisi della amministrazione romana deflagrasse in un dibattito in consiglio. «A Roma, è un dovere verso i cittadini portare la discussione sulla conclusione dell'amministrazione Marino nell'aula consigliare. Il sindaco fa bene a presentarsi in aula Giulio Cesare e i consiglieri, in particolare quelli del suo partito, dovrebbero evitare di dimettersi e consentire la discussione».

Sullo sfondo l'irritazione di Renzi. Digerita quella verso il sindaco Marziano, ora c'è da valutare le gestione della crisi da parte di Orfini. «Se si dimette Marino anche lui si deve fare da parte», commentava ieri un esponente della maggioranza.

Ammesso che il Pd sia in grado di reggere un altro braccio di ferro.

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