Per tutti, a Cervignano (Udine), è «Hina». Stesso nome di Hina Saleem la 21enne pachistana uccisa nel 2006 dai suoi familiari nel bresciano. Stesso nome; quasi stessa età (la Hina di Cervignano ne ha 24); stessa nazionalità; stesse minacce da parte dei parenti serpenti: «Se non sposi chi abbiamo deciso noi, ti sgozziamo...». Nel caso di Hina Saleem la minaccia si concretizzò, drammaticamente. Nel caso della giovane pachistana, rifugiatasi in Friuli, a sventare (per ora) la vendetta assassina di padre, madre e fratelli, sono arrivati i poliziotti. Che hanno convinto lei - la Hina «udinese» - a scendere dal tetto dove era salita per urlare tutta la sua disperazione; e hanno contattato loro - i familiari - per invitarli a smetterla con le intimidazioni. Tentativo fallito, considerato che un fratello ha risposto a muso duro: «Noi abbiamo le nostre tradizioni, Hina deve rispettarle. Altrimenti peggio per lei...». Parole terribili che il primogenito della famiglia di Hina ribadisce al Giornale, con tono «orgoglioso»: «Noi non interferiamo nelle vostre tradizione, voi rispettate le nostre...». Peccato che fra le «tradizioni» cui si riferiscono i parenti della giovane pachistana ci sia anche l'usanza barbara del «matrimonio combinato»: cioè un uomo dato in sposo alla figlia senza che lei possa rifiutarsi. Pena, la vita. Ma Hina il coraggio di ribellarsi l'ha invece trovato. «Braccata come un animale da scannare», scriveva ieri il Messaggero Veneto, il primo a pubblicare il dramma della giovane pachistana: «costretta a fuggire prima dal Pakistan e pochi mesi fa da Bologna per evitare che i suoi parenti, in primis i due fratelli, la uccidano. Gliel'hanno giurato che finirà male se non ubbidirà». Ma Hina di fare ritorno in Pakistan non ci pensa minimamente: «Da lì sono fuggita e lì non voglio più andarci...». Un'odissea, la sua, attraverso i Balcani. Poi l'approdo nella «Terra promessa»: l'Italia. Per la legge del nostro Paese il suo status è quello di «rifugiata». Termine che per la famiglia di Hina è sinonimo di «donna impura». Che, solo per questo, andrebbe punita senza pietà. L'altroieri la ragazza (da pochi mesi vive a Cervignano, ben accolta dalla comunità locale) è salita sul tetto della sua abitazione. È scattato l'allarme. Ore di trattative. Si è temuto che la giovane potesse buttarsi giù. Invece si è fatta convincere a raccontare la sua triste storia: «Ho paura, aiutatemi. I miei fratelli mi minacciano di morte». Hina, a seguito del piano di protezione attivato dal ministero dell'Interno, è stata trasferita dall'Emilia Romagna in Friuli. Le telefonate minatorie della famiglia continuano. Hina ha il terrore di addormentarsi. Di notte la parola «vendetta» popola i suoi incubi. Ma lei non ha rinunciato a sognare. Come racconta la deputata socialista Pia Locatelli - autrice di uno studio specifico sul tema - in tutto il mondo si celebrano ogni anno 60 milioni di «matrimoni forzati»: «La maggior parte riguarda ragazze giovanissime, spesso bambine al di sotto di quindici anni. In alcuni casi hanno dodici anni, in altri addirittura nove», ha dichiarato al sito linkiesta.it. La deputata, coordinatrice dell'intergruppo parlamentare sui diritti delle donne, parla senza mezzi termini di «pedofilia legalizzata». Un fenomeno drammaticamente diffuso. Almeno 146 Paesi consentono infatti di sposare ragazze minori di diciotto anni. In 52 casi i matrimoni possono essere contratti anche con minori di quindici anni. «Ma anche dove la legge lo impedisce continua Locatelli - si verificano casi limite di matrimoni combinati con bambine anche di otto o dieci anni».Colpiscono alcuni dati.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite in Bangladesh, Ciad, Guinea, Mali, Mozambico e Niger una ragazza su dieci ha un figlio prima di quindici anni. Ma il dramma ci tocca anche da vicino: «Ogni anno 2mila adolescenti nate in Italia sono costrette a sposarsi nei paesi di origine». Altro che integrazione...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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