M ettete vicine le facce di Angela Lansbury, la Signora in giallo della fortunata serie tv americana e quella di Filippo di Edimburgo, uno che ancora oggi trova i Beatles e i Rolling Stones un po' eccentrici. Lei (la regina Elisabetta le conferì il titolo di dame) sempre a modino, composta e riservata, il sopracciglio snobisticamente inarcato di chi rimpiange il buon tempo antico. Lui il paradigma dell'anziano rimasto mentalmente al tempo delle cacce alla volpe, mano sul cuore e Rule Britannia cantato con la mano sul cuore e lacrima sul ciglio quando parte il verso che dice «Britons never will be slaves», gli inglesi non saranno mai schiavi. Di quei beccaccioni di Bruxelles, oltretutto. Andiamo!
Il futuro è dei giovani, si diceva una volta. Bene, andate a dirlo agli inglesi. Con la Brexit lo scontro generazionale, acuto oggi come i nostri genitori e i nostri nonni non avrebbero neppure immaginato, sono stati gli anziani a vincerlo. Altro che Regno Unito. Dicono infatti tutte le indagini demoscopiche che la botta è venuta proprio dagli over 50 e dagli anziani, i fanatici del tè alle 5 e quelli convinti che il pudding e il fish and chips, baccalà fritto e patatine, non siano un modo sbrigativo e plebeo per sfamarsi a buon mercato; ma dei «piatti» come neppure Ferran Adrià, lavoratore del mestolo in certe oscure cucine catalane si sogna. Gente afflitta da un'intramontabile superiority complex. Gli stessi che dopo aver «inventato» la rivoluzione industriale hanno accettato l'idea propugnata dalle loro donne - della paga settimanale, varata dai datori di lavoro per evitare che, incassato lo stipendio alla fine del mese, i sudditi di Sua Maestà se lo bevessero tutto in una sola serata al pub. Il voto è arrivato anche dalla working class e dalla piccola e media borghesia. Sono loro, quelli del «leave». E il censo, l'appartenenza a una classe sociale più o meno agiata non ha pesato più di tanto, trasversale essendo il sentimento di superiorità, di «diversità», rispetto ai «continentali».
Inutili sono stati gli appelli ai giovani perché si recassero alle urne per esprimere il loro sentimento europeista. Ha vinto l'abitudine all'indifferenza di un blocco sociale disaffezionato, come da noi, alla politica e al rito delle urne, come testimoniò già l'anno scorso quel 43 per cento di votanti di fascia giovanile contro il 78 per cento (il 78!) dei pensionati. Insomma, dovevano essere l'ago della bilancia, i giovani; ma è come se in blocco non ci avessero creduto. O forse che ne dice, mister Cameron? - non glielo hanno spiegato bene.
Dati ufficiali non ce ne sono, ma gli esiti del voto sembrano confermare i sondaggi pubblicati nei giorni scorsi dal sito YouGov, secondo il quale a votare per la permanenza della Gran Bretagna nella Ue è stato il 73 per cento dei votanti tra i 18 e i 24 anni e il 54 per cento dei votanti tra i 25 e i 49 anni. Nella fascia di età che va dai 50 ai 65 anni il «Remain» calava al 42 per cento, per inabissarsi al 36 per cento tra gli over 65. Il livello di istruzione ha contato, naturalmente. Il 71 per cento dei laureati ha votato contro la «Brexit», mentre solo il 29 si è pronunciato a favore. Chi ha frequentato i libri per meno tempo si è invece pronunciato per la «Brexit» (55 per cento) e al 45 per cento per restare in Europa.
Ha perso la «generazione Erasmus», ragazzi e ragazze che dello studio all'estero avevano fatto una meta, un obiettivo preciso, un modo per emanciparsi da un certo provincialismo d'antan per sentirsi cittadini di un Paese più grande chiamato Europa. Quanto sarà facile, d'ora in poi, andare a studiare in Inghilterra? E per gli inglesi, quanto sarà facile venire a studiare in Italia, o in Francia? E se l'Inghilterra finisse per essere eliminata dalle mete «Erasmus»?
Se la Gran Bretagna non farà parte della Ue i suoi studenti non potranno beneficiare dei programmi per la ricerca e l'innovazione europea come Horizon 2020. E questo vale anche per gli studente europei, che vedranno ristretti gli scambi culturali con i loro omologhi d'oltre Manica. Non per niente oltre 170 associazioni studentesche avevano indicato la Brexit come «una drammatica sconfitta» per tutti gli studenti.
Comunque lo si guardi, il netto divario tra giovani e meno giovani accende i riflettori su una guerra generazionale di cui «Brexit» è forse solo la punta dell'iceberg. Dati, numeri non ce ne sono. Troppo presto per disegnare scenari, per avere certezze e percentuali. Ma i grandi temi epocali della riforma delle pensioni, il mercato del lavoro giovanile, i «garantiti» contro gli «esclusi», disegnano una spaccatura in seno alla società di cui forse è ancora presto per valutare gli effetti. Da un lato quelli che hanno più di 60 anni e si prendono quanto hanno versato allo Stato, sventolando impettiti le vecchie buste paga lardellate di trattenute e contributi previdenziali. Retributivo o contributivo, le ragioni per recriminare non mancano mai. La solidarietà però è un lusso che non ci si può più permettere.
Sicché ecco i vecchi visti come «ladri di futuro», arroccati intorno ai loro privilegi vissuti non a torto come «diritti», visto che quelle erano le regole del gioco quando giocavano loro. E i giovani a bagnomaria nel limbo dei non garantiti, nella terra di mezzo di fazioni che si sentono nemiche. Perché la solidarietà è un lusso d'altri tempi. E la Brexit ha decretato che non è più di moda.
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