Dimissioni vietate al prigioniero del Senato

Vacciano ha già provato quattro volte a lasciare: sempre respinto

Dimissioni vietate al prigioniero del Senato

Per i tanti che sgomitano per entrare in Parlamento, c'è un senatore che le prova tutte per uscirne ma non ce la fa. L'ostaggio di Palazzo Madama, il prigioniero del Senato si chiama Giuseppe Vacciano, eletto con il M5s di cui è stato anche tesoriere del gruppo, per poi uscirne alla fine del 2014 in dissenso col movimento di Grillo (da allora è nel calderone del gruppo Misto). Appena rotto con i grillini, Vacciano ha presentato la richiesta di dimissioni per tornare al suo lavoro di assistente superiore a Bankitalia, pensando che fosse una cosa semplice. Niente affatto, invece, perché la decisione non spetta al singolo parlamentare, ma a tutti gli altri, che devono votare le dimissioni. Senza farsi scoraggiare dall'ostacolo, Vacciano da allora è riuscito, con mirabile perseveranza, a far calendarizzare ben quattro volte il voto sulle sue dimissioni, incassando però altrettante bocciature implacabili. L'ultima puntata della crociata è di pochi giorni fa, il 25 gennaio scorso il Senato, con una discussione animata sull'opportunità della sua scelta, e il voto contrario di 138 senatori contro 65 favorevoli. Malgrado l'ennesimo fallimento, Vacciano è subito tornato alla carica, con una lettera ai vertici dell'istituzione che non vuole lasciarlo libero: «Gentile Pietro Grasso, confermo l'irrevocabile volontà di dimettermi dal Senato, chiedo dunque nuovamente di calendarizzare la votazione sulle mie dimissioni».

Sarebbe la quinta, e visto che la legislatura si avvia alla conclusione le probabilità che ci riesca si avvicinano allo zero: «Mi rendo conto che a questo punto si tratta più di un atto dovuto che di qualcosa che riuscirò a realizzare e non mi resta che augurarmi che a chiudere questa paradossale vicenda sia la rapida conclusione di questa legislatura» commenta il senatore intrappolato. Ma perché vuole così ostinatamente dimettersi? Vacciano sostiene di essere coerente con i principi originari del grillismo, per cui non riconosce il vincolo di mandato e quindi, una volta uscito dal partito, ritiene inevitabile dimettersi. Ad alleggerire la solenne decisione c'è anche il fatto che il senatore è in aspettativa retribuita dalla Banca d'Italia, quindi dal 2013 riceve lo stipendio di prima e non l'indennità parlamentare, che quindi non perderebbe lasciando il Senato. Anche la pensione, problema che affligge molti peones, non è un problema per Vacciano, che anzi sarebbe penalizzato se avesse optato per la contribuzione parlamentare rispetto al fondo pensione del datore di lavoro (lo spiega nel dettaglio lui stesso in un post su Facebook).

E perché, allora, i senatori respingono sempre le sue dimissioni? Alcuni sospettano che la sua scelta non sia libera ma frutto di pressioni da parte del M5s, che con le sue dimissioni avrebbe un senatore in più (subentrerebbe il primo dei non eletti M5s), e anche più soldi per il gruppo. Altri, invece, nelle surreali discussioni precedenti al voto su di lui, sostengono che il vincolo di mandato va inteso come un dovere morale: vietato abbandonare lo scranno.

Ma la motivazione più fantasiosa è quella della senatrice Fucsia, anche lei ex M5s: «La presenza di Vacciano dà onorabilità al Senato: propongo quindi una figura nuova, quella del senatore dimissionario a vita che si interroga sul suo ruolo». Ecco, mancava il senatore che si interroga a vita sulle proprie dimissioni senza dimettersi.

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