Quel disagio alimentato dal lockdown

E così finalmente incominciamo ad accorgerci di un disagio giovanile profondo.

Quel disagio alimentato dal lockdown

Un gran brutto risveglio. Era inevitabile tutta la nostra attenzione prima sul covid, poi sulla guerra: la pandemia fortunatamente ci sta lasciando; alla guerra drammaticamente ci stiamo abituando. E così finalmente incominciamo ad accorgerci di un disagio giovanile profondo. Ragazze violentate a Milano durante la festa di capodanno, altre aggredite qualche giorno prima sul treno Milano-Varese, adesso alcune, ancora, molestate a Peschiera del Garda. Tutto questo non è la punta di un iceberg ma evidenze di una realtà diffusa tra ragazzi che non riescono a trovare forme di relazione rispettose della vita degli altri.

Due anni di reclusione provocata dalla pandemia hanno lasciato a tutti un segno profondo, ma ai ragazzi sono stati sottratti due anni di quella formazione che si costruisce attraverso la complessità del contesto sociale in cui si elabora l'identità relazionale.

E ora ci accorgiamo che questi nostri figli, cresciuti per tanti mesi nel chiuso delle pareti domestiche, si trovano gettati nel mondo con una fragilità non solo psicologica, ma anche fisica, come delle piante che all'improvviso dal buio passano alla luce del sole. E l'abbaglio li acceca. Per rivedere la luce, dovrebbero essere aiutati dai loro genitori e dai loro insegnanti. Padri e madri sono anch'essi usciti malconci da questi due anni, e, pur con tutta la buona volontà, l'educazione dei figli sfugge loro di mano. La scuola da troppi anni è una malata cronica, e la politica ha la grave colpa di non saperla curare. Così abbiamo insegnanti emozionanti per la loro dedizione che lavorano fianco a fianco di colleghi incapaci. Difficile trovare nella scuola un sostegno formativo per i ragazzi.

E sciaguratamente questi giovani non hanno più neppure un linguaggio comune, quello che non molti anni fa era dato dagli stessi film che vedevano, dalle stesse canzoni che ascoltavano, dalle stesse trasmissioni televisive di approfondimento che guardavano. Modelli di riferimento comunicativi collettivi che consentivano a loro riflessioni e scelte consapevoli di orientamenti diversi.

I social hanno disintegrato questo linguaggio collettivo, e ai ragazzi più fragili, senza il sostegno della famiglia e della scuola, resta una dolorosa solitudine che troppo spesso, ormai, pensano di superare con la violenza.

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