La disfatta del Meridione: il numero di pensioni ha superato gli stipendi

Studio della Cgia: i titolari di un assegno sono più dei dipendenti e degli autonomi

La disfatta del Meridione: il numero di pensioni ha superato gli stipendi

Il Mezzogiorno vive un preoccupante paradosso occupazionale: il totale dei pensionati è superiore alla somma di lavoratori dipendenti e autonomi. La sproporzione è drammatica: 7,2 milioni i pensionati contro circa 6 milioni di lavoratori. Un dato che influenza quello nazionale: nell'insieme della Penisola i pensionati superano i lavoratori di 205mila unità con 22,7 milioni di assegni a fronte di 22,5 milioni di addetti a gennaio 2022.

È quanto ha sottolineato l'Ufficio studi della Cgia di Mestre evidenziando che, a livello territoriale, tutte le regioni del Mezzogiorno presentano un numero di occupati inferiore al numero degli assegni pensionistici erogati. In termini assoluti le situazioni più «squilibrate» si sono verificate in Campania (-226mila), Calabria (-234mila), Puglia (-276mila) e Sicilia (-340mila). Tra le province con maggior problematicità si segnalano Messina (-94mila), Lecce (-104mila) e Napoli (-137mila). Nel Centro-Nord, invece, solo Marche (-36mila), Umbria (-47mila) e Liguria (-71mila) presentano una situazione di criticità. Le situazioni più «virtuose» sono in Emilia Romagna (+191mila), Veneto (+291mila) e Lombardia (+658mila).

La principale motivazione di questo fenomeno risiede nella denatalità. Tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre 1,36 milioni di unità (-2,3%). Tra inizio 2019 e settembre 2022 questo fenomeno il Meridione ha perso 575mila persone in età lavorativa. Tuttavia, il risultato anomalo del Sud va spiegato anche in base al minor numero degli occupati è sensibilmente inferiore. Alla fine del terzo trimestre 2022 il tasso di occupazione del Mezzogiorno si attestava al 46,6% dove è in diminuzione di 0,3 punti percentuali rispetto alla fine di giugno 2022, con un lieve incremento del tasso di inattività al 45,7%. In valore assoluto i meridionali di età compresa tra 15 e 64 anni che non hanno un lavoro e non lo cercano sono 5,8 milioni.

Confrontando le analisi della Cgia di Mestre con i recenti dati Istat, si può dedurre che in qualche misura il reddito di cittadinanza, oltre a non aver funzionato per l'inserimento lavorativo dei meridionali, abbia funzionato anche da «scivolo» verso la pensione dei residenti al Sud. E se anche, come evidenziato dallo Svimez, l'emigrazione (125-150mila persone l'anno) continua a svuotare il Mezzogiorno di persone in età lavorativa, gli imprenditori non solo al Nord, osserva l'Ufficio studi degli artigiani mestrini, denunciano difficoltà nel reperire personale. E non si tratta solo di figure professionali la cui mancanza è causata anche dal disallineamento tra scuola e mondo delle imprese. I giovani, prosegue la Cgia, tendono a rifiutare le posizioni meno prestigiose che solo in parte vengono coperte dai lavoratori stranieri. E questa sembrerebbe rappresentare un'altra distorsione generata dal reddito di cittadinanza anche se non ci sono statistiche eloquenti sul tema. Di certo, la «congruità» dell'offerta ai percettori del reddito, che consente fino a oggi di non accettarla, è un freno all'occupabilità.

C'è, però, un altro dossier su cui intervenire ed è la politica per la famiglia.

Secondo la Banca d'Italia, è indispensabile incentivare la crescita demografica (aiuti ai genitori e ai minori), allungare la vita lavorativa, incrementare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro e, infine, innalzare il livello di istruzione della forza lavoro. Tutte sfide che nel 2023 il governo dovrà necessariamente affrontare.

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