Dl Dignità, lotta M5s-Pd su chi sta più a sinistra

Di Maio si scaglia sui dem. Martina lo sfida: "Alziamo le indennità ai lavoratori, ci stai?"

Dl Dignità, lotta M5s-Pd su chi sta più a sinistra

Il Dl dignità diventa una cartina di tornasole nella competizione tra M5s e Pd su chi è più a sinistra. Da un paio di giorni nei social network si è scatenata la polemica di ambienti pentastellati contro il Pd, colpevole di volere emendare il decreto nella parte in cui aumenta l'indennità che devono pagare i datori che licenziano un dipendente senza giusta causa. Ieri la critica è diventata ufficiale.

Il leader pentastellato e vicepremier Luigi Di Maio ha attaccato direttamente il Pd denunciando l'emendamento Pd che sopprime l'articolo che porta le mensilità minime di risarcimento da 4 a 6 e quelle massime da 24 a 36. «Come si può essere contrari a una norma che dà un giusto indennizzo ai lavoratori che subiscono degli abusi?». Il segretario del Pd «potrebbe spiegare a tutti perché un partito di sinistra si schiera contro il riconoscimento di maggiori diritti a chi lavora?».

Davide Tripiedi, vicepresidente della commissione Lavoro, va al punto politico: «Segno che con Renzi o senza Renzi non è cambiato nulla: ormai è il partito della demolizione dei diritti dei lavoratori».

Il segretario Maurizio Martina non poteva non rispondere e infatti ha rilanciato bollando come «giochi» e «propaganda» le frasi di Di Maio sulle indennità. Poi la sfida: «Vuoi confrontarti? Ecco nostra proposta che alza indennità ai lavoratori anche in caso di conciliazione. Lo sostieni?». Cioè, per legge, più soldi anche in caso di arbitrati nel lavoro. Il tema di fondo è di quelli che hanno lacerato la vecchia sinistra, cioè le modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Divideva 20 anni fa Rifondazione comunista e Pds, e oggi resta un terreno di scontro tra chi è più di sinistra tra il M5s e il Pd.

Con il rischio che i due partiti, uno è di opposizione ma l'altro è di maggioranza, competano a scapito degli interessi del Paese dimenticandosi che le critiche arrivate al decreto sono soprattutto quelle delle aziende, che temono un ulteriore ingessamento del mercato de lavoro.

Una grana anche per il Pd, diviso tra chi ha varato la riforma dei licenziamenti, cioè Matteo Renzi con il Jobs Act, e chi la pensa come l'ex ministro Cesare Damiano della sinistra interna, schierato da subito contro l'emendamento del Pd del quale ieri ha chiesto il ritiro.

La conversione del decreto diventerà anche una misura dello stato del centrodestra. La capogruppo di Forza Italia Mariastella Gelmini ha annunciato che il partito «farà battaglia per stravolgere un provvedimento sbagliato e pericoloso. Vogliamo flat tax, reintroduzione voucher, misure per partite Iva e per occupazione femminile. Dalla parte dei lavoratori e delle imprese».

Modifiche di segno opposto rispetto alla volontà del M5s, il cui decreto «trasformerà i precari in disoccupati e metterà in crisi migliaia di aziende. A gioire, forse, saranno solo gli avvocati...». Lo scontro tra Pd e M5s non migliorerà la situazione. Anzi, sottolinea Gelmini, «Ci riporterà agli anni Settanta».

L'iter del provvedimento entrerà nel vivo domani quando inizierà il voto sugli emendamenti nelle commissioni. Giovedì è previsto l'approdo del decreto in Aula. Il via libera di Montecitorio dovrebbe arrivare entro il weekend.

Lega e M5s hanno trovato accordo su un pacchetto di modifiche che incide sui contratti a termine, facendo salve alcune fattispecie. Poi il ritorno parziale dei voucher per alcune categorie. Compresi gli agrari, i cui sindacati ieri hanno annunciato battaglia.

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