Il presidente americano Donald Trump è riuscito, nel giro di tre mesi, a lasciare campo libero a turchi e russi in Siria e a rischiare di farsi rimandare a casa dall'Iraq, dove gli iraniani la faranno da padroni, le aree più calde del Medio Oriente. Un genio, solo nel caso sia un'innovativa strategia machiavellica per ritirarsi da posti rognosi senza annunciarlo e facendolo per cause di forza maggiore.
Il parlamento iracheno, su proposta del primo ministro, il nostro «alleato» Adil Abdul Mahdi, ha dato la luce verde al governo per sbattere fuori le truppe straniere dall'Iraq compresi i nostri soldati. L'eliminazione del generale Qassem Soleimani ha prodotto il primo disastroso effetto e non è l'unico. La coalizione alleata a guida americana con il quartier generale a Baghdad ha già sospeso il programma di addestramento delle truppe locali concentrandosi sulla difesa delle basi a stelle e strisce nel mirino della rappresaglia delle milizie sciite. E non combatte più contro i resti dello Stato islamico avendo altri pericoli da affrontare e trovandosi una bella fetta di forze armate irachene «alleate», di stampo sciita, inferocite per l'uccisione di un generale carismatico. In un attimo sono stati gettati al vento anni di lavoro. L'Emergency response division addestrata dagli italiani, una delle punte di lancia dell'offensiva che ha liberato Mosul dal Califfato è composta in gran parte da sciiti, che oramai fanno di tutta l'erba un fascio chiedendo il ritiro delle truppe straniere in Iraq. E proprio noi italiani con 926 uomini in Kurdistan, nel nord del Paese, ci troveremo in estrema difficoltà. La missione, Prima Parthica con sede ad Erbil, ha addestrato i combattenti curdi dall'arrivo dell'Isis in Iraq, ma fa parte dell'intervento a guida Usa con comando a Baghdad. Non a caso nella zona verde della capitale c'è il generale Paolo Attilio Fortezza, un incursore, che comanda tutto il contingente italiano e ricopre l'incarico di Direttore dell'addestramento della coalizione contro lo Stato islamico.
I curdi nel nord non saranno felici di veder partire gli italiani di Prima Parthica temendo di essere esposti ad un rinvigorito nazionalismo sciita. Il Kurdistan è una regione autonoma che si è sempre sentita «indipendente», ma per Baghdad fa parte a tutti gli effetti del territorio nazionale. Stupefacente, che 48 ore fa, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, dichiarasse candidamente che «le missioni continuano come programmato» in occasione dell'innalzamento del livello di allerta per timori di rappresaglie, come se non si rendesse conto di cosa sta bollendo in pentola. Il caos iracheno permetterà la rinascita dell'Isis alla disperata ricerca di una tregua per riorganizzarsi e tornare a colpire in Medio Oriente e in Occidente. Per non parlare della mossa vergognosa di abbandonare i curdi, dopo averli usati come carne da cannone contro lo Stato islamico nel nord est della Siria. Al comando della colazione a guida americana a Baghdad si erano messi le mani nei capelli quando Trump ha dato il via libera all'invasione turca e i paracadustisti russi occupavano le basi Usa abbandonate dai marines in Siria.
Tutte bazzecole di fronte alla vera arma di rappresaglia dell'Iran, che in questo ore potrebbe rompere
gli indugi e decidere di sbattere fuori gli ispettori riprendendo alla grande la produzione di uranio arricchito per la bomba nucleare. A questo punto la guerra con Israele, sauditi e Stati Uniti sarà una tragica certezza.
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