Dr Donald o mr Trump: chi governerà l'America?

Ieri l'uomo che in campagna elettorale si atteggiava a estremista, oggi un alter ego dall'aplomb moderato

Dr Donald o mr Trump: chi governerà l'America?

Il mondo intero si trova davanti a un grande interrogativo: quale è il vero Trump, quello che voleva mandare in galera Hillary e denunciare tutti i trattati commerciali degli Stati Uniti, o quello che fa i complimenti alla sua avversaria e almeno per il momento tace su che cosa intende fare per costringere le multinazionali americane a tornare a produrre in patria. È un interrogativo da cui dipendono le sorti di tutti noi per i prossimi quattro anni e forse più a lungo. Anzitutto bisogna fare una osservazione: tutti i leader politici (non solo i populisti) fanno durante la campagna elettorale annunci e promesse che non hanno veramente intenzione di mantenere. Trump, che nelle sue centinaia di comizi parlava sempre a braccio, senza neppure una scaletta e cadendo anche in plateali contraddizioni, può essere considerato un campione della specialità. Ma per cercare di capire che cosa farà davvero, bisogna prevedere che ogni progetto dovrà rispondere a tre criteri: utilità, opportunità e fattibilità. E su questi tre punti non sarà il solo a decidere ma dovrà tenere conto del parere dei collaboratori secondo le indiscrezioni che circolano molto qualificati di cui si circonderà e della influenza delle grandi strutture che costituiscono la spina dorsale del potere americano: la Segreteria di Stato, il Pentagono, il Tesoro e la complessa struttura dei servizi di sicurezza.

Il primo segnale del mutato atteggiamento di Trump verso gli avversari è stato l'abbandono dell'idea di processare Hillary e soprattutto la genuina cordialità del suo primo incontro con Obama (che doveva durare 20' e invece si è protratto per 90') che aveva definito pochi giorni prima il peggior presidente della storia americana. Ha capito, cioè, che a questo punto non era né utile né opportuno esasperare lo scontro con i democratici. Avendo in mano Casa bianca, Congresso e Senato, potrebbe perfino permettersi, come fece Reagan, di prendersene uno nel suo governo.

Un'altra costante della sua campagna è stato l'attacco all'Obamacare, il sistema di assistenza sanitaria introdotto dal presidente uscente nonostante la diffidenza (giustificata dai risultati) di ampie fette di elettori e della strenua opposizione del Congresso. Ma dopo l'incontro con Obama ha dichiarato che non ritiene opportuno farne tabula rasa perché «ha prodotto anche risultati positivi». Molti hanno notato una contraddizione tra la promessa di abbassare drasticamente le tasse e nello stesso tempo lanciare un grandioso progetto di rinnovamento delle infrastrutture (molto necessario ma certo non a costo zero). Con un debito pubblico di circa il 100% del PIL, quasi tutti gli analisti hanno definito il programma economico di Donald una follia. Per ora, dopo l' elezione egli non si è pronunciato ma la probabilità che scelga come Ministro del Tesoro un grande banchiere (la categoria contro cui aveva tuonato per mesi) è un indizio che non intende mandare le finanze americane a carte quarantotto. Le incognite maggiori riguardano la politica estera. Nei comizi Donald aveva detto che non intende rispettare gli accordi mondiali conclusi da Obama sulla limitazione dei gas serra e di volere anzi rilanciare l'uso del carbone e degli idrocarburi. Lo ha fatto, ovviamente, per conquistare quell'ampia fetta di elettorato destinata a soffrire per le scelte di Obama, ma se egli ritenga davvero fattibile rinnegare un trattato internazionale lo vedremo solo tra qualche mese. Quelli che potrebbero cambiare davvero sono i rapporti con la Russia, un punto su cui le prese di posizione pre-elettorali coincidono con i segnali postelettorali. Trump sa che all'America profonda importa molto poco dell'Ucraina e Putin fa molto meno paura che all'establishment: il clima di guerra fredda ricreato da Obama non piace in realtà a nessuno. Qui, ammesso che Mosca collabori, utilità, opportunità e fattibilità coinciderebbero. Che dire, poi, dell'impegno a disdire l'accordo per fermare la corsa dell'Iran alla bomba? Dopo l'elezione non ne ha più parlato, ma qui detta legge l'elemento fattibilità. Come potrebbe rompere con Teheran senza avere un piano B, specie se vuole la collaborazione degli Ayatollah nella lotta all'Isis, che per lui ha precedenza su tutto? Un altro leitmotiv della campagna è stata la volontà di ridurre gli impegni militari all'estero e di chiedere sia agli alleati Nato, sia a Giappone e Corea del Sud un maggior contributo finanziario. Su questo difficilmente farà marcia indietro, sia perché ha buoni argomenti, sia perché su questo punto ha l'appoggio di quasi tutti gli americani.

L'Europa dovrà rassegnarsi sia a aprire i cordoni della borsa, sia a un raffreddamento dei rapporti. I primi passi di Trump, non rispondere all'invito della Commissione per una rapida presa di contatto e scegliere Theresa May, la donna del Brexit, come sua prima ospite alla Casa Bianca non promettono bene.

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