Mai come in quest'ultimo periodo, la politica è andata a incrociarsi con la rotta delle banche centrali. Al punto da influenzarne le decisioni. Se la Federal Reserve ha ammesso esplicitamente nell'ultimo Beige Book il potere condizionante delle elezioni presidenziali Usa, è assai probabile che il voto americano e il referendum costituzionale in Italia siano per la Bce due buoni motivi per prendere tempo. «A dicembre sarà possibile delineare meglio le scelte dei prossimi mesi», ha spiegato ieri Mario Draghi durante la conferenza stampa che ha seguito il direttivo.
È da qualche mese che l'iperattivismo dell'Eurotower si è come spento, fino ad alimentare le voci secondo cui sarebbe già stato aperto il dossier sulla riduzione del piano di acquisti da 80 miliardi di euro al mese. Indiscrezioni che l'ex governatore di Bankitalia ha liquidato sbrigativamente: parole in libertà dette «da persone non autorizzate e senza cognizione di causa». Di tapering «non si è discusso per niente». Nè è ipotizzabile un brutale stop allo shopping di titoli. Così come, finora, non è stata messa in discussione una possibile estensione del programma di quantitative easing, la cui fine naturale resta il mese di marzo dell'anno prossimo «o anche oltre, se necessario» ha ripetuto Draghi per l'ennesima volta. Fra 40 giorni circa, la banca centrale avrà tra le mani le nuove stime economiche che si allungano fino al 2019. Un atto di coraggio che, visto i tempi che corrono, sfiora la temerarietà. Al momento, la Bce non è soddisfatta del ritmo della ripresa (i rischi sulla crescita «restano orientati al ribasso»), e neppure dell'andamento lento dell'inflazione. La situazione, delicata, conferma quindi «la necessità del Qe». Il punto è che, al netto delle «traiettorie» congiunturali immaginate, tra poco più di un mese l'istituto di Francoforte potrebbe trovarsi davanti un mondo profondamente cambiato. Quando il numero uno della banca centrale dice che «vogliamo aspettare dicembre per vedere tutti gli input che possono essere utili alla discussione», si riferisce anche alla situazione internazionale. Senza tirare in ballo un'eventuale - e catastrofica - escalation della tensione Usa-Russia, se gli americani consegnano a Donald Trump le chiavi della Casa Bianca c'è il serio rischio di dover rivedere tutti gli scenari, compresi quelli di politica monetaria. Non solo. Draghi ha anche ieri richiamato i governi ad «accelerare e aumentare» gli sforzi verso le riforme strutturali. Parole che qualcuno potrebbe interpretare come un indiretto endorsement al nuovo modello bicamerale proposto da Matteo Renzi. Di sicuro, in molti ambienti finanziari si teme che una vittoria del «no» possa portare instabilità in Italia. Con ripercussioni sullo spread Btp-Bund, sui rendimenti dei titoli italiani e sulle nostre banche la cui «pancia» è gonfia di bond tricolori.
Un motivo in più per tener duro con lo scudo del Qe. Draghi non ha escluso un'eventuale «morbida implementazione» del programma di acquisto di asset. Molti analisti ne prefigurano un'estensione di 6-9 mesi, con acquisti addizionali complessivi fra i 480 e i 720 miliardi.
Nel 2017, però, in Germania si vota. Improbabile che Angela Merkel voglia presentarsi a elettori già scontenti con tassi negativi e con un perimetro del Qe ancor più allargato. Per Draghi e chi lo sostiene sarà una bella lotta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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