Draghi mette a punto un taglio dei tassi e irrita la Casa Bianca

La Bce pronta a un altro round di acquisti di titoli. The Donald accusa: «Manipola l'euro»

Draghi mette a punto un taglio dei tassi  e irrita la Casa Bianca

Non ci vuole molto per far perdere le staffe a un impulsivo come Donald Trump. Soprattutto se l'inquilino della Casa Bianca è convinto che qualcuno stia tramando contro il sacro pilastro dell'«America First». Mario Draghi si è macchiato di siffatta colpa ieri non appena dal palco di Sintra, in Portogallo, ha lasciato intendere che la Bce è pronta a tagliare i tassi e a far ripartire la giostra del Quantitative easing, quella che gira a colpi di acquisti miliardari di titoli. «In assenza di un miglioramento - ha spiegato - , nella misura in cui il sostenuto ritorno dell'inflazione al nostro obiettivo risulti minacciato, sarà necessario uno stimolo addizionale». Convinto che «ulteriori tagli ai tassi di interesse e misure di mitigazione destinate a contenere eventuali effetti collaterali rimangono parte dei nostri strumenti», e che «l'App (il Qe, ndr) ha ancora un considerevole spazio a disposizione».

Misure da mettere in campo con un timing più ravvicinato, forse alcune settimane, rispetto a quanto finora ipotizzato. A imporre il possibile ricorso al bazooka in dotazione all'arsenale della politica monetaria, un deterioramento del ciclo economico sempre più pronunciato e l'allontanarsi dagli obiettivi di inflazione. Insomma: un'«Europa First», una sorta di «Whatever it takes 2.0» forse meno retorica dell'originale, ma di sicuro e immediato impatto sui mercati, dove lo spread è precipitato a 243 punti (-4%), gli interessi sul nostro decennale sono scesi al 2,11% (minimo da maggio 2018, prima dell'insediamento del governo Conte), le Borse del Vecchio continente hanno preso l'ascensore (+2,5% Milano) e l'euro si è accartocciato fino a 1,11 dollari. Tutta roba talmente indigesta da mandare di traverso la colazione a Trump che, caricato a pallettoni Twitter, ha sparato ad alzo zero sul presidente dell'Eurotower, colpevole di aver «appena annunciato che potrebbero arrivare altri stimoli, il che ha fatto immediatamente calare l'euro rispetto al dollaro, rendendo ingiustamente più facile per loro competere contro gli Usa». Dipinto come un burattinaio della manipolazione valutaria, Draghi ha replicato con fermezza: «Abbiamo il nostro mandato e il nostro mandato è la stabilità dei prezzi... siamo pronti a utilizzare tutti gli strumenti necessari per adempiere a questo mandato e non miriamo al tasso di cambio».

Se mai, finora, l'ex governatore di Bankitalia era stato bersaglio dei velenosi cinguettii di The Donald (probabilmente irritato anche dal fatto che oggi la Federal Reserve non toccherà i tassi), ciò che importa sono le possibili conseguenze. Ovvero, una possibile vendetta a colpi di dazi. Il momento potrebbe essere propizio. In particolare se la prossima settimana, al summit G20, Trump e il leader cinese Xi Jinping troveranno una prima quadra per mettere fine al braccio di ferro commerciale. A quel punto, il mirino potrebbe essere girato verso l'Ue per colpire la Germania, il vero nemico della Casa Bianca. Lo stesso Trump ha tradito ieri un certo nervosismo di fronte all'ascesa della Borsa di Francoforte (+2%): «Il Dax tedesco sale a causa delle osservazioni sugli stimoli di Mario Draghi. Molto sleale per gli Stati Uniti». Seppur mai nominata esplicitamente, la Germania (e in generale i Paesi del Nord) è stata peraltro oggetto di una critica da parte del numero uno della Bce per aver abbracciato, durante la crisi del debito, una politica fiscale restrittiva a causa «del bisogno di ristabilire la credibilità fiscale». E sempre la Germania di Jens Weidmann, candidato a succedere a Super Mario alla fine del suo mandato il 31 di ottobre, era probabilmente la destinataria di un secondo riferimento quando Draghi ha ricordato come la Bce disponga di una tale flessibilità di manovra, confermata anche da un recente pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, in base alla quale è lecito non solo l'acquisto di asset, ma anche un'ampia discrezionalità «nell'usare tutti gli strumenti a sua disposizione in maniera necessaria e proporzionata agli obiettivi da conseguire». Ma un richiamo è arrivato anche all'Italia, sollecitata a «ricreare spazio fiscale aumentando l'output potenziale».

La ricetta è la solita: riforme e investimenti pubblici nel rispetto del quadro fiscale europeo, così da «preservare la fiducia degli investitori nei Paesi con un alto debito pubblico, bassa crescita e uno spazio fiscale limitato».

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